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Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano – Vol. 1

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BLUE NUDE (1977) di Luigi Scattini

Il sesso, la sua manifestazione più brutale (cioè la pornografia), e il coinvolgimento emotivo diretto destabilizzano le convinzioni di un uomo capace di ragionare solo ed esclusivamente in base ai suoi sogni

Quando Luigi Scattini, parte per l’America per girare quello che sarà il suo ultimo film da regista, Blue nude, il cinema hard in Italia cominciava a fare il suo ingresso e, proprio il 15 novembre 1977, una sala cinematografica di Milano, il Majestic, espone fuori dalla porta d’ingresso del locale una lampada con la luce rossa intermittente per segnalare il cambio di programmazione, aprendo, così, la strada alla proiezione di film “a luce rossa” (appunto) in tutta la penisola. Sono anni, questi, in cui il film hard circola clandestinamente in qualche cineclub (soprattutto Exhibition (1975) di Jean-François Davy con la star d’oltralpe Claudine Beccarie), alcuni amatori ne fanno richiesta via posta per ricevere carissimi loops in super-8 (provenienti dal Nord Europa della Danimarca e della Svezia) e dove riviste come “Le Ore e “Man” propongono le prime immagini di sesso esplicito su carta stampata.

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Aristide Massaccesi (Joe D’Amato) emigra nei caraibi e gira film con doppie versioni (soft e hard) per il mercato interno e quello estero prima di girare il pacchetto – di quattro film caraibici (a Santo Domingo) esplicitamente pornografici – che alla fine del decennio darà il via alla produzione dell’hard nostrano. Franco Lo Cascio si inventa distributore e comincia ad importare dall’estero pellicole a tripla “X” da distribuire in Italia in maniera clandestina e attraverso mille ostacoli e divieti. Resta il fatto che tutto questo riguarda una piccola nicchia di pubblico, mentre per la massa l’hard rimane qualcosa di misterioso e “leggendario”, legato ai racconti di quei pochi “fortunati” che hanno fatto viaggi nel Nord Europa o degli emigranti di ritorno dagli Stati Uniti. Ecco, quindi, che Blue nude di Luigi Scattini, oltre a spalancare le porte della produzione hard allo spettatore del tempo, diviene il primo film italiano ad affrontare l’argomento nonché un vero e proprio anticipatore di film come Hardcore (1979) di Paul Schrader.

FEBBRE DI VIVERE (1953) di Claudio Gora

Fulminante ritratto di un’Italia egoista, miserevole, narcisa e senza speranza che sguazza e gode nell’amoralità.

Il dittico iniziale dell’opera registica di Claudio Gora (pseudonimo di Emilio Giordana) si presenta come asimmetrico e spiazzante rispetto ai modelli neorealistici dell’epoca: Il cielo è rosso (1950) tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Berto e Febbre di vivere (1953) liberamente ispirato al dramma “Cronaca” di Leopoldo Trieste raccontano, in modo quasi astratto e attraverso l’ossessione del riscatto a tutti i costi, storie archetipiche della società italiana del dopoguerra. Lo stile di Gora – che si manifesta nella sua pienezza solo nel dittico degli anni ’50 – è decisamente moderno per l’epoca visto che presenta tratti hitchcockiani, e opta per una costruzione filmica, diversa e bruciante, che alterna long-take narrative (e mai descrittive) a fulminanti primi e primissimi piani espressivi ed affettivi. Va inoltre sottolineato, nel merito, l’uso moderno dell’angolazione con immagini schiaccianti dall’alto ed esaltanti dal basso che hanno chiara matrice wellesiana e che – oltre a non essere mai fini a se stesse – mostrano una realtà perennemente incombente e minacciosa. Gora non è ottimista, mette in scena generazioni dissolute, incapaci di sentimenti, opportuniste e lubriche in cui ci sono padroni che, per i loro biechi interessi, sadicamente, manipolano e utilizzano servi ingenui e colpevoli (mai pienamente vittime). Il film esce “marchiato” con il divieto ai minori di 16 anni e presenta un finale vagamente conciliante con l’uomo e la donna che escono assieme dal commissariato, diverso rispetto all’ originale, cupo e disperato, con la donna che da sola si allontanava verso l’oscurità. In poco meno di un’ora e mezza, Febbre di vivere traccia il ritratto cronachistico della disillusione e dell’evanescenza di un frammento generazionale: lo fa con una misura e una furia inusuali e soprattutto mettendo in scena personaggi sgradevoli che si agitano in un sottobosco torbido e malsano.

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Massimo Fontana (Massimo Serato) è preoccupato per l’imminente uscita dal carcere del suo ex-socio Daniele Massa (Marcello Mastroianni). Massimo gestisce una sala corse e al momento vive una relazione piuttosto fragile con Elena (Anna Maria Ferrero) una giovane trasteverina. Le preoccupazioni di Massimo sono indirizzate nel cercare di capire che cosa sa Daniele del suo arresto di tre anni prima e quanto sa del suo diretto coinvolgimento. Mentre Daniele recatosi a casa dell’ex-socio cerca di mostrargli tutto il suo rancore e la sua voglia di rivalsa, Massimo, facendo leva sulla sua debolezza e sulla sua bontà, lo manipola nuovamente, lo coinvolge nel suo milieu di frequentazioni medio-borghesi e lo riavvicina a Lucia (Marina Berti), la quasi ex-fidanzata di Daniele di cui egli è ancora innamorato. Elena, scopertasi incinta confida tutto a Sandro (Sandro Milani), un amico di Massimo, il quale non tarda a venire a conoscenza della situazione, e mentre vive una nuova relazione con Lucia (che si è innamorata di lui), invita Elena ad abortire: questa dopo molte reticenze aspetta. Nel frattempo, trovatosi a corto di soldi, Massimo organizza una truffa durante una corsa di trotto a Villa Glori. Il piano fallisce e l’uomo si trova stretto tra la denuncia e il ritiro della licenza da una parte e dalle pressioni degli strozzini (a cui si è affidato per pagare i debiti) dall’altra. Massimo convince Sandro a farsi passare per il padre del figlio di Elena e a farsi dare da sua madre i soldi necessari perché la ragazza abortisca; Daniele viene a scoprire di essere finito in carcere a causa della denuncia dello stesso Massimo; Lucia cerca, inutilmente, di convincere Massimo a seguirla all’estero. Durante un discussione accesa e convulsa a casa di Massimo, vengono a galla tutte le verità e per impedire a Sandro di raccontare a Lucia la sua sull’aborto di Elena, Massimo lo colpisce con un pugno e lo uccide accidentalmente e per dargli l’apparenza di un incidente simula che il ragazzo ubriaco sia caduto dalla finestra: Lucia e Daniele assistono attoniti e impotenti di fronte all’agire dell’amico. Di fronte all’ennesima recita di Massimo all’obitorio Lucia decide di parlare e di denunciare se stessa e i due uomini. Massimo viene portato in carcere e Lucia e Daniele lasciati liberi dal commissario.

ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri (prefazione di Davide Pulici)

Rassegna Stampa – Estate 2016

A distanza di un anno dalla sua uscita il variegato mondo della critica sembra non voler distogliere l’attenzione da “ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri”(prefazione di Davide Pulici).

http://www.italiaultimoatto.it/

 

Nella storia del cinema italiano di Fabrizio Fogliato, ad esempio, non c’è spazio per i nomi che…”ci hanno sempre detto” essere la storia del cinema italiano. Niente Rossellini, De Sica, Visconti, Germi, Fellini, Visconti, Antonioni, Ferreri, insomma. Infatti Fogliato ha apostrofato il suo Italia: Ultimo Atto come l’altro cinema italiano. Un altro cinema, che molto difficilmente troverebbe spazio nei corsi universitari standard; e – o meglio, perché – un cinema altro, escluso dai canoni ufficiali in quanto impegnato a cercare strade non convenzionali, forse per la critica troppo poco intellettuali e grammaticalmente ortodosse ma non per questo meno coraggiose e, nei risultati migliori, meno riuscite. [cineclandestino.it]

Fogliato parte da Sole (1928/’29), film d’esordio di Blasetti, e Rotaie (1929) di Camerini (non proprio due sconosciuti, ma batta un colpo chi ha visto questi due film!), per arrivare – quando già imperversavano, come facce opposte di una stessa medaglia, la commedia scollacciata e le città violente, nere e a mano armata – a massimo Pirri, a cui giustamente dedica l’epilogo del suo viaggio. Finalmente diremmo, un’analisi del cinema di Pirri (significativa l’intervista a corredo) contestuale a un racconto dell’Italia e delle immagini d’Italia su grande schermo.
Un libro per chi non si accontenta dei racconti ufficiali. [cinequanon.it]

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ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri (prefazione di Davide Pulici)

Cineclandestino.it – Recensione a cura di Riccardo Nuziale

Ad oltre un anno dalla sua uscita – e in attesa del secondo volume – continua il grande successo di critica e di pubblico di “ITALIA: ULTIMO ATTO. L’altro cinema italiano” di Fabrizio Fogliato.

Italia, raccontaci un’altra storia! – Recensione di Riccardo Nuziale – 17 Giugno 2016 –

Nella storia del cinema italiano di Fabrizio Fogliato, ad esempio, non c’è spazio per i nomi che…”ci hanno sempre detto” essere la storia del cinema italiano. Niente Rossellini, De Sica, Visconti, Germi, Fellini, Visconti, Antonioni, Ferreri, insomma. Infatti Fogliato ha apostrofato il suo Italia: Ultimo Atto come l’altro cinema italiano. Un altro cinema, che molto difficilmente troverebbe spazio nei corsi universitari standard; e – o meglio, perché – un cinema altro, escluso dai canoni ufficiali in quanto impegnato a cercare strade non convenzionali, forse per la critica troppo poco intellettuali e grammaticalmente ortodosse ma non per questo meno coraggiose e, nei risultati migliori, meno riuscite.

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MILANO ROVENTE (1973) di Umberto Lenzi

In ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

nucleo centrale e rivelatore del film che trasforma Milano rovente da film d’azione in dramma sociale, è contenuto nella scena della confessione di Salvatore Cangemi dopo l’amplesso consumato con Jasmine. Il lungo monologo appare esaustivo delle intenzioni dell’autore e spiega al meglio come, durante la fuga, Salvatore prima dica a Virginia (compaesana avviata alla prostituzione da un mezzano che si spaccia per cugino): “Prendi la bambina e tornatene al paese. Vai via da questa merda fin che sei in tempo” e poi, recatosi al capezzale della madre morente, si senta dire da lei: “No figlio, io non vedrò più il paese, ma tu si… Questa non è vita per te…”. E’ la madre a rivelare a Cangemi la sua natura e quindi la sua inadeguatezza, quella che egli stesso ha sempre voluto mettere a tacere nella speranza di riuscire, costi quel che costi, ad affermarsi e a farsi accettare nonostante il suo essere “terrone”.

L’ASSOLUTO NATURALE (1969) di Mauro Bolognini

In Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

[…] Un’Italia scientemente e volutamente cancellata per essere sostituita da spazi oscuri dominati dai chiaroscuri e da linee geometriche di raggelante precisione. Budelli oscuri dall’architettura riquadrata e persi in una profondità senza fine su cui emergono i tre colori base virati in acido: giallo, ciano e magenta. I vetri diventano la prigione/acquario in cui sono sigillati l’uomo e la donna. Nella visione di Bolognini ci sono solo spazi che – anche per la forma e per il modo in cui sono inquadrati – rimandano a delle bare. Il tema della morte è dunque centrale, al punto da essere declinato sotto diverse forme. Morte come incomunicabilità: la morte della parola come strumento di ragionamento e di relazione. Non a caso la donna, per istruire l’uomo, ricorre alla visone del documentario sulla riproduzione dei bachi da seta, mentre l’uomo, che fa affidamento sulla parole per far prevalere la ragione sull’istinto, viene travolto e ucciso dall’auto guidata dalla donna (nel libro è invece obbligato ad impiccarsi). Morte come assenza: quella di luoghi di passaggio.

RIVELAZIONI DI UNO PSICHIATRA SUL MONDO PERVERSO DEL SESSO [1973] di Renato Polselli

Tutti i segreti del cinema “freak” di Renato Polselli. Prossimamente sul secondo volume di ITALIA: ULTIMO ATTO

 

Definire cosa è stato il cinema italiano degli anni’70 è praticamente impossibile e probabilmente non ha neanche senso tentare di farlo. La già avventurosa storia del cinema italiano, in quel doppio lustro diventa “fantasmagorica” attraverso l’accumulo, pressochè infinito, di materiali eterogenei e disfunzionali attraverso i quali si costruiscono migliaia di film di ogni genere (alcuni addirittura inventandoli da zero), magari complessivi di un pugno di pellicole, dalla qualità discutibile, con l’unico fine immaginabile di soddisfare ogni esigenza (dalla più rara alla più turpe) di un pubblico “affamato” ma non stupido, pronto a spendere poche centinaia di lire per evadere, almeno per un paio d’ore, dagli anni di piombo. Inevitabile (come ho appena fatto) chiudersi in stereotipi e luoghi comuni per dare spiegazione plausibile a quel periodo storico-cinematografico, come è altrettanto inevitabile non soffermarsi sull’unico aspetto pervasivo e indistintamente comune a tutti i generi: il sesso.

OSCENITA’ – [aka QUANDO L’AMORE E’ OSCENITA’ – 1973/1980] di Renato Polselli

Tutti i segreti del cinema “freak” di Renato Polselli. Prossimamente sul secondo volume di ITALIA: ULTIMO ATTO

 

In una riunione guidata da un certo Dottor Roberts (Isarco Ravaioli) che dovrebbe essere una specie di terapia di gruppo, alcuni uomini e alcune donne si presentano come persone che hanno “approfittato” della bella Mireille (Mirella Rossi) e spiegano le loro ragioni perverse, mediate dall’aiuto dello psichiatra che li guida all’interno dei comportamenti perversi e delle loro motivazioni, analizzando l’intera storia del genere umano, prima di portarli a scatenarsi in un’orgia furiosa che sa tanto di pena del contrappasso.

1968… MODI PER MORIRE… e oltre

In Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Nel 1968 la nostra industria cinematografica sforna oltre 250 titoli e una regione come il Piemonte ha in funzione oltre 800 sale cinematografiche (all’incirca una ogni cinquemila abitanti) tra prime, seconde e terze visioni. Il cinema dunque è, per chi lo fa, medium di canalizzazione della contestazione capace di dare vita ad una serie di nuovi autori (alcuni destinati a lasciare il segno, altri capaci di “ballare” per un solo film) mentre, per chi lo vede, da semplice passatempo, assume i crismi della rappresentazione di un orizzonte nuovo e suggestivo nonchè strumento di discussione.

1968… MODI PER MORIRE

In Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Quello del 1968 è un paradosso straordinario: l’anno che vuole cambiare il mondo, nel cinema italiano diventa l’anno in cui la rivoluzione è negata. I film del biennio 1968-1969 – finora poco storicizzati e affrontati in ordine sparso – visti nel loro complesso disegnano oscuri presagi sul futuro a medio e lungo termine e sono attraversati da un pessimismo, appiccicoso e intransigente, nei confronti di tutto ciò che è cambiamento. La cifra contenutistica è quella della disillusione, già sublimata prima ancora che l’illusione stessa si compia. E’ come se il cinema, tra i medium, fosse l’unico a fare i conti con l’immaturità endemica e le frustrazioni dell’italiano medio, e a mettere in scena la nemesi stessa del “sogno”, anticipando persino i tempi dell’attesa e sospendendo ogni illusione in uno stato di sospensione come è quello della “permanenza del possibile”.