I LIBRI DI INLAND #6
Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano
di Fabrizio Fogliato con prefazione di Romolo Guerrieri
Bietti Edizioni, 2022

Itinerario n.05: andata: La febbre dell’oro (stralci)

[…] Nel 1958 l’Italia è una nazione democristiana brulicante di politicanti e clericali il cui potere si consolida nei salotti tramite sotterfugi notturni, per lasciarsi alle spalle le macerie della guerra e sottrarsi, velocemente, allo spettro del comunismo. È l’Italia del cantiere perenne, il cronotopo che segna l’immaginario collettivo attorno a cui fanno e disfano improvvisati palazzinari, che si muovono all’ombra dei potenti in un sottobosco in cui si mescolano le convenienze biunivoche di servi e padroni.

[…] Secondo l’esito processuale, il delitto su commissione organizzato da Giovanni Fenaroli serve a ottenere la possibilità di riscuotere l’indennizzo della polizza sulla vita della moglie per ripianare i debiti della Fenarolimpresa, sull’orlo del fallimento. Maria Martirano è la vittima ideale non tanto per il delitto – questo riguarda solo l’aspetto soggettivo delle controparti – quanto per la società ipocrita e perbenista del tempo. Prima del matrimonio, celebrato nel ’37, tra il 1930 e il 1932 ha esercitato la prostituzione nelle case di tolleranza di diverse città: Palermo, Napoli, Taranto, Ancona, Venezia e Padova. Come la Adua nel film di Pietrangeli, la donna sembra scontare il suo peccato con la morte.

Nel 1958 si sono verificate altre morti violente di giovani donne – tutti delitti rimasti impuniti e senza colpevole – ma nessuno di questi ha suscitato clamore e interesse come il delitto Martirano. Perché qui c’è il romanzo che genera invidia, c’è il riscatto che si concretizza, c’è la favola che allevia la rabbia: c’è qualcosa di simbolico che va oltre la rappresentazione del crimine.

[…] L’immaginario collettivo è colpito e atterrito dalle conseguenze della velocità, perché, su un piano teorico, se la vita si velocizza esponenzialmente, di conseguenza anche il crimine si fa più insidioso e imprevedibile. Le distanze non rappresentano più né un deterrente né una variabile decisiva per la messa in atto di un delitto. Ad accorgersi di quanto questo presupposto sia entrato sotto la pelle dei cittadini è il cinema, che “annega” la folle corsa di Fenaroli e Ghiani – e molti altri frammenti estrapolati dall’iter giudiziario del processo – tra le pieghe di pellicole insospettabili come Un maledetto imbroglio, Il rossetto o Il vedovo (1959) di Dino Risi.

Con quest’ultimo – come sottolinea Tatti Sanguineti nel suo bel libro Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo Sonego e il suo cinema – nel cinema italiano fanno la loro comparsa la “nevrosi”, qui declinata al maschile, e il personaggio-epitome dell’“Uomo Nuovo”, quale deve essere quello “del miracolo”. Non sorprende, dunque, che la cronaca, la più nera, intacchi anche la commedia all’italiana. È lo stesso Sonego – interrogandosi su chi sia quell’Uomo Nuovo e su quali possano essere le sue attitudini – a spiegare perché dentro Il vedovo, di cui ha scritto la sceneggiatura, ci siano frammenti e reminescenze del caso Fenaroli.

Per saperne di più:

www.conlarabbia.it

di Fabrizio Fogliato ©

 

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