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Altre Visioni

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THE ATROCITY EXHIBITION (2000) di Jonathan Weiss

La filosofia dell’atrocità secondo James G. Ballard: il controllo del tempo, la realtà pervasiva dei media, automobili come oggetti-feticcio sessualizzati e l’ossessione delle psicopatologie.

The Atrocity Exhibition di Jonathan Weiss, a partire dal suo completamento non è quasi mai stato proiettato. Il regista ha lavorato con risorse molto limitate, e ha dovuto gestire continue interruzioni produttive a causa della carenza di fondi che hanno portato lo sviluppo del processo creativo a prolungarsi per alcuni anni. Il director’s cut originale ha una durata di 105′, mentre una versione decurtata fino a 90′, e non ancora ultimata, è stata proiettata a Rotterdam nel 1998 e allo Slamdance Festival del 1999. Il senso dell’operazione è racchiuso nelle parole dello stesso regista: “Chi pensa che il mondo rappresentato nel libro di Ballard sia ormai superato, rimarrà fortemente deluso. I contenuti sono di una attualità sconcertante: non viviamo in un paesaggio dove la realtà pervasiva dei media controlla il nostro tempo? Non siamo ossessionati e consumati da psicopatologie che creano e determinano le nostre relazioni con noi stessi, la nostra famiglia e gli amici, i nostri modelli, i nostri governi? Non è che le nostre automobili e altri veicoli sono diventati degli oggetti-feticcio sessualizzati?” (Simon Sellars, ballardian.com)

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Il film diretto nel 2000 dall’australiano Jonathan Weiss e scritto in collaborazione con Michael Kirby, non è mai uscito nelle sale, ma ha ricevuto la gratificazione dell’entusiasmo dello stesso Ballard, che dopo la visione ne ha suggerito l’aggiunta dell’introduzione iniziale. Il “corridoio della paura” percorso dalla macchina da presa che si avvicina con un lento carrello alle spalle del Dott. Traven all’inizio del film (che è complementare allo stesso corridoio percorso dalla steady cam nel finale del film) ha come geometrica direzione universale quella del bianco totale che appare sullo sfondo dello schermo: una sorta di visione astratta della morte.

Schegge di analisi su “APPUNTI PER LA DISTRUZIONE” (2008) di Simone Scafidi

“LEBEN MACHT SKLAVEN”

L’uomo , la carne e le macerie…e l’11 Settembre 2001 sembra già dietro l’angolo

 

Dante Virgili (1928-1992), lo scrittore maledetto di cui non esiste nemmeno una fotografia, è lo spunto di partenza del film “APPUNTI PER LA DISTRUZIONE”. Attraverso una serie di interviste la personalità di spicco del mondo editoriale (Antonio Franchini, Marco Monina), letterario (Ferruccio Parazzoli, Bruno Pischedda), politico (Marco Pannella, Giancarlo Simonetti) e religioso (Vito Mancuso, Monia Ovaia, Gabriele Mandel), viene ricostruita la vicenda umana e artistica dell’autore de “LA DISTRUZIONE” (Il Saggiatore), lo scandaloso romanzo nazista che, pubblicato nel 1970, anticipò di più di 30 anni l’attentato dell’11 Settembre 2001. La vicenda di Virgili, legata anche al romanzo inedito “METODO DELLA SOPRAVVIVENZA” diventa lo stimolo per un’indagine sul MALE. Il tutto inframmezzato da potenti ed evocative scene di fiction ispirate all’universo creativo di Virgili.

Un acquitrino ghiaioso, rada vegetazione di erbacce, stalagmiti di cemento emergono dal terreno: Ciò che rimane di un crollo? La disperazione della natura? Le macerie dell’uomo? Forse… Sullo sfondo una figura nera e indistinta avanza ansimante verso lo schermo. Un maschera nera copre il suo volto. Poi d’improvviso il passamontagna viene sfilato e un urlo di agghiacciante silenzio fluisce disperato da quell’organismo. Un’immagine che condensa al suo interno l’essenza del Grido di Edward Munch e cioè il senso dell’irrimediabile perdita di armonia tra uomo e cosmo, spingendo tale consapevolezza fino al punto di non ritorno. Un frammento visivo che rimane, al termine della visione, conficcato nel cervello. L’unica vera e forse, definitiva risposta al Male evocato in precedenza. Che cosa è il Male? Esiste il Male? Chi è il Male? Domande, solo domande senza risposta…

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LA HAINE (1995) di Mathieu Kassovitz

Quando il cinema anticipa la realtà.

Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene……………………

Mathieu Kassovitz è uno dei “misteri” cinematografici più interessanti del cinema di fine millennio. Passato da autore innovativo e geniale, nel giro di un paio di film, a mero artigiano esecutore tecnicamente ineccepibile di storie su commissione allineate alla più trita estetica narrativa mainstream. Osannato al Festival di Cannes del 1995 come il più interessante talento emergente del cinema francese e deriso, neanche due anni dopo per il successivo Assassin(s). Dai “fasti” della Francia al mercato di Hollywood in seguito al successo clamoroso de Le Riviéress pourpres (I fiumi di porpora, 2000), per scomparire o quasi nell’anonimato odierno. Eppure a ben vedere, il cinema di Kassovitz è sempre stato lo stesso. La sua forza, e il suo maggior pregio è sempre stata quella di riuscire ad apparire d’autore pur essendo mainstream. L’ “abbaglio” critico de La Haine è dovuto esclusivamente al fatto che il tema al centro del film era (ed è) di scottante e urgente attualità e la pellicola-guerriglia, girata dall’interno (con tanto di comparsate del regista stesso con la macchina in spalla durante lo svolgersi del film) risulta un pugno nello stomaco talmente forte da far chiudere gli occhi. Pellicola rabbiosa, “sporca”, urbana, e surreale che nasce dalla rabbia e dall’indignazione dello stesso regista per un fatto di cronaca avvenuto un paio di anni prima, e nel film, opportunamente, ribaltato di senso e significato.

EVA BRAUN (2015) di Simone Scafidi

LA PORTIERA DELLA NOTTE

C’era una volta un paese che si faceva chiamare il “paese più bello del mondo”, perché era ricco di cultura, di storia e di… potere. C’era una volta un paese in cui le persone diventavano oggetti, in cui la “cosificazione” dei giovani veniva sollecitata, mentre il delirio di onnipotenza “rancoroso e violento” veniva esercitato dal potere dispensando “amore e generosità”.

Eva Braun si ispira ai recenti scandali sessuali e politici italiani, declinati attraverso la lente del Sadiano ‘Le 120 giornate di Sodoma’. Questo mix dà vita ad un grottesco viaggio attraverso il Potere, il sesso e la disponibilità dei protagonisti di fare qualsiasi cosa pur di raggiungere il successo. Pier è il simulacro di quel tipo di potere tentacolare che esiste nell’Italia attuale. Elegante, ironico e ben educato, ha un bizzarro istinto sessuale che viene soddisfatto dalla sua mistress, Romy, la quale recluta persone, uomini e donne (musicisti, filmmaker, scrittori e imprenditori) che accettano di soddisfare le sue strambe fantasie pur di ottenere il suo aiuto per raggiungere ciò che desiderano Come nel Decameron, un gruppo di persone dentro una casa, mette in gioco il proprio orgoglio con il sesso e la sete di potere.

Il tema del “doppio” in Brian De Palma

Murder obsession

 

Il cinema di De Palma costruisce un movimento a spirale che lentamente avvolge lo spettatore con un flusso di immagini ininterrotte che spingono la visione verso il limite della vertigine. Connotato da barocchismi ed improbabili eccessi, il suo cinema è manifesto della follia dell’individuo (e delle sue ossessioni) in relazione ad un mondo fantastico e onirico. Il tema del doppio si inserisce pienamente su questa lettura cinematografica dell’opera del regista, ponendosi sul confine che divide il trattamento dei grandi temi universali in simbiosi con i dubbi e le colpe del singolo individuo. Sin da Sisters (Le due sorelle, 1973) (lungometraggio d’esordio nel genere thriller-hitchcockiano) De Palma lavora sulla rivisitazione sperimentale del concetto di punto di vista. La follia dei suo personaggi non può prescindere dalla messa in scena onirica e perturbante in cui agiscono.

IL QUINTO ELEMENTO: IL CINEMA DI FOLCO QUILICI

Il bambino e la natura

 

Folco Quilici è colui che è senza dubbio il più grande e conosciuto documentarista italiano; anche se questa definizione è limitante per un “viaggiatore” eclettico come il regista ferrarese. Un uomo che ha lavorato per il cinema e per la televisione, autore di saggi e biografie, e che ha ricoperto numerosi incarichi di responsabilità in ambito culturale. Quello che segue è un ritratto attraverso tre opere differenti (di cui una ripudiata), che diventano sintesi di uno “stile di vita”, in cui il cinema è materia prima da plasmare assecondando la naturalezza delle immagini da un lato, e modificando il punto di vista del regista dall’altro. I suo film dedicati al rapporto dell’essere umano con la natura sono molteplici e in taluni casi hanno ricevuto i giusti riconoscimenti internazionali: Sesto Continente (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), Ultimo Paradiso (Orso d’Argento al Festival di Berlino del 1956), Ti-koyo e il suo pescecane (Premio Unesco per la Cultura del 1961), Fratello Mare (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino, Cartaghena, 1974). La lettura dell’universo di Folco Quilici, appare dunque poliedrica e sfaccettata, connaturata all’essenza di “essere viaggiatore”, in cui la macchina da presa, diventa protesi per riprendere, con discrezione e rispetto, quasi con timore, la natura e le sue bellezze. Al centro del suo fare cinema è sempre presente una forma di “disagio” latente di fronte alla magnificenza dello spettacolo naturale.

CRASH! (1971) di Harley Cockliss

L’orrore (pre)annunciato, il rumore sordo e metallico del corpo-macchina che prelude all’orgasmo del corpo-carne

Crash! prima di Crash, l’interiezione e il suono (1971) prima del libro (1973); l’orrore (pre)annunciato, il rumore sordo e metallico del corpo-macchina che prelude all’orgasmo del corpo-carne. Quindi Cronenberg ha avuto un predecessore: Harley Cockliss, 25 anni prima di lui gira questo cortometraggio per la BBC, interpretato da J.G. Ballard in prima persona e tratto da alcuni frammenti di The Atrocity Exhibition. “Dilavati lontano dall’obiettivo della fotocamera, la dimensione della profondità manca dalla stanza, e le due figure hanno un rapporto sempre più astratto tra loro, e alle forme rettilinee del divano, pareti e soffitto. In questo contesto quasi tutto è possibile, i loro movimenti sono una serie di equazioni posturali che devono avere un significato diverso rispetto alle loro apparenze” (JGB, The 60 Minutes Zoom, 1976). In Crash! JGB, con l’attrice Gabrielle Drake, racconta un mondo composito ed erotizzato in cui la penetrazione delle lamiere è indistinguibile da quella sessuale e in cui le linee e le traiettorie giocano un ruolo definitivo nella definizione del paesaggio urbano e di quello del corpo.

Writer J. G. Ballard at his home in Shepperton, in Middlesex, England, in 1988.