“LEBEN MACHT SKLAVEN”

L’uomo , la carne e le macerie…e l’11 Settembre 2001 sembra già dietro l’angolo

 

Dante Virgili (1928-1992), lo scrittore maledetto di cui non esiste nemmeno una fotografia, è lo spunto di partenza del film “APPUNTI PER LA DISTRUZIONE”. Attraverso una serie di interviste la personalità di spicco del mondo editoriale (Antonio Franchini, Marco Monina), letterario (Ferruccio Parazzoli, Bruno Pischedda), politico (Marco Pannella, Giancarlo Simonetti) e religioso (Vito Mancuso, Monia Ovaia, Gabriele Mandel), viene ricostruita la vicenda umana e artistica dell’autore de “LA DISTRUZIONE” (Il Saggiatore), lo scandaloso romanzo nazista che, pubblicato nel 1970, anticipò di più di 30 anni l’attentato dell’11 Settembre 2001. La vicenda di Virgili, legata anche al romanzo inedito “METODO DELLA SOPRAVVIVENZA” diventa lo stimolo per un’indagine sul MALE. Il tutto inframmezzato da potenti ed evocative scene di fiction ispirate all’universo creativo di Virgili.

Un acquitrino ghiaioso, rada vegetazione di erbacce, stalagmiti di cemento emergono dal terreno: Ciò che rimane di un crollo? La disperazione della natura? Le macerie dell’uomo? Forse… Sullo sfondo una figura nera e indistinta avanza ansimante verso lo schermo. Un maschera nera copre il suo volto. Poi d’improvviso il passamontagna viene sfilato e un urlo di agghiacciante silenzio fluisce disperato da quell’organismo. Un’immagine che condensa al suo interno l’essenza del Grido di Edward Munch e cioè il senso dell’irrimediabile perdita di armonia tra uomo e cosmo, spingendo tale consapevolezza fino al punto di non ritorno. Un frammento visivo che rimane, al termine della visione, conficcato nel cervello. L’unica vera e forse, definitiva risposta al Male evocato in precedenza. Che cosa è il Male? Esiste il Male? Chi è il Male? Domande, solo domande senza risposta…

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Il virus, la fascinazione, la fessura, il pertugio, elementi che si alternano a volti di scrittori, filosofi, religiosi, in una rappresentazione per quadri. Tableaux vivent incarnati (nel senso letterale) dalla fisicità dionisiaca di Riva De Onestis e costruiti da Scafidi come immagini dall’eco baconiana. “Intensamente viventi, i personaggi di Bacon lasciano a volte vedere i propri denti, pezzetti di scheletro, stalattiti e stalagmiti rocciose che spuntano davanti alla caverna della bocca…perché, per conoscerla meglio e gustarne tutte le bellezze, non si potrebbe esplorare la vita con accanimento senza arrivare a mettere a nudo – almeno a sprazzi – l’orrore che si nasconde dietro i paludamenti più sontuosi.” Cosi Michel Leiris, parlava a proposito della pittura di Francis Bacon. Così, Simone Scafidi interpreta le visioni di Dante Virgili. Il regista “ingabbia” i personaggi di fiction in spazi sobri e angusti, mai al centro dell’immagine, racchiusi da una luce flebile e costretti in un angolo dell’inquadratura, ordinati e geometrici nei movimenti, rigorosi nell’utilizzo (parsimonioso ma efficace) del linguaggio, adagiati su sfondi opachi talvolta oscuri e talvolta luminosi. Le donne, il giovane Hans, le cavie e le vittime (ma forse anche i carnefici) sono schiacciati dal potere che attraverso la costrizione (il rapporto sadico, la sodomia, l’esercizio (militare della violenza) annienta l’individuo. Ecco il motivo della necessità di parcellizzare lo spazio e di restituire una visione pornografica del corpo.

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La necessità, anche letterale, della frammentazione si accompagna alla concezione dello sguardo che ontologicamente infrange la realtà per restituire schegge visive dove il corpo è predominante. Gli sfondi neutri e anonimi fanno da giusto contrappeso all’invasività del corpo e della sua potenza. La carne nuda, osservata, spiata, vessata e umiliata è simbolo inverso del potere (come nella parola “love” che contiene al posto della “o”, simbolo della linearità e della maternità, la svastica simbolo (per convenzione?) del Male assoluto). Come teorizzato da Bataille prima, e visualizzato da Pasolini poi, il potere annienta l’individuo e lo strumento precipuo a tale operazione è quello del corpo. Bataille sosteneva: La violenza, che non è in se stessa crudele, lo diviene nella trasgressione specifica di chi la organizza. La crudeltà è una delle forme della violenza organizzata. Nel suo “La Distruzione” Dante Virgili fa dire al suo personaggio: “Deportate avviate nude alle docce. Mai come in un lager l’orgoglio delle donne fu infranto. E Gratis”. Ecco allora che l’utilizzo del corpo mercificato diventa per Scafidi e per Riva De Onestis, un’urgenza. La regola infranta della prostituzione come scelta, il corpo di Hans “sacrificato” al potere (auto)distruttivo, il corpo malmenato dell’invalida e la violenza contro la donna incinta sono quindi veri e propri frammenti di realtà, che nulla fanno per nascondere un richiamo urgente al presente e (forse) al futuro. La mercificazione della carne, il rispetto delle “regole” della violenza e l’edonismo esasperato traslano dall’opera Virgiliana alla quotidianità di ogni individuo, riallacciando La Banalità del Male alle scelte che, in ogni istante, ogni uomo deve compiere. Fare il Bene o fare il Male non è (più) solo una prerogativa del libero arbitrio, bensì una vera e propria scelta “politica”.

Il nazismo è una parafrasi, dietro cui si nasconde la “necessità” dell’uomo di esercitare il proprio potere per soddisfare pulsioni, manie e soddisfare desideri. Si desidera ciò che si vede e il corpo nudo di due giovani donne è l’elemento di partenza. L’una deve mostrare i difetti dell’altra, difetti fisici, carnali, estetici in una rappresentazione definitiva dell’annullamento dell’individuo. Ecco cos’è il nazismo per Dante Virgili (ma non solo): un lento erodere dall’interno la dignità dell’individuo con l’obiettivo (programmatico) di sottometterlo al proprio volere ma restituendo alla vittima il senso della “giusta causa” per cui lui (o lei) si sta umiliando. Quell’assegno bruciato e lasciato cadere sul pavimento è il simbolo del Male, quello racchiuso in ogni individuo pronto ad esplodere quando la disperazione prevale sulla speranza. Non a caso il protagonista de “La Distruzione” lentamente tende ad immedesimarsi con Hitler, perchè solo così può attuare quella neo-distruzione tanto agognata.

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Il rubinetto luccica. M’inondo d’acqua le braccia e il petto. Il mio viso riflesso per un istante nello specchio. Quegli occhiali quello sguardo opaco. Perduta l’espressione della giovinezza. Un volto che lentamente si trasforma. Fino a comporne un altro che neppure io riconosco più. L’usura delle cellule. Rinunciare a imputridire essere arbitri della propria fine. Non deboli dinanzi alla morte, anche quando da astratta si fa VERA. Non c’è soluzione d continuità tra le parole di Dante Virgili e l’immagine finale della morte dello stesso protagonista nell’opera di Simone Scafidi. Andrea Riva De Onestis è un Hitler/Virgili che ostinatamente combatte tra il desiderio di continuare a vivere e la “necessità” di suicidarsi. Situazione ambigua e contraddittoria che la performance (attraverso la danza butoh), di Riva de Onestis, restituisce in tutta la sua bellezza e crudeltà. L’(auto)distruzione di un uomo disperato, solo nel suo piccolo appartamento borghese, riverso in una pozza di sangue causata da un’ emorragia interna precede la resurrezione blasfema dell’”essenza dell’uomo” (deprivata di ogni spiritualità ma pura e semplice energia: E = mc², la formula della vendetta), pronta a compiere quella distruzione sognata, immaginata e fortemente voluta….

L’ipocrisia è reale, anzi è il motore della società odierna. Chi desidera la distruzione desidera avvelenare un mondo marcio e corrotto, che dietro anonime porte di appartamento nasconde la superficialità e il perbenismo di facciata di una borghesia che non è (neanche) più tale. L’irruzione (figurativa) della casa di Dante Virgili e dei suoi nuovi proprietari è una scheggia impazzita che ammorba la visione perché si rivela essere l’unico frammento bieco e insincero, qualunquista e ignorante di tutta la docu-fiction. Lo è nei protagonisti stessi che rifiutano di far entrare in casa Scafidi e Riva De Onestis, dopo aver raccolto informazioni su Virgili, “prima sapevamo solo che era uno scrittore”…e poi adesso ci sono anche dei bambini, per cui non ci sembra il caso…” Paradossalmente aver inserito in Appunti per la distruzione questo frammento di Italianità (non riesco a chiamarlo diversamente) così volgare, maleducato e inutile, restituisce appieno il senso di tutto il lavoro e sembra suggerire (volutamente?) il senso intrinseco del desiderio di “DISTRUZIONE”.

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Mefistofele nel Faust di Wolfgang Goethe: “Io sono una parte di quella forza che sempre vuole il Male, ma sempre faccio il Bene”. L’esercizio del controllo del Bene sul Male teorizzato dal teologo Vito Mancuso è l’elemento che apre la seconda parte dell’opera di Simone Scafidi, quella dove scrittori, religiosi, filosofi e giornalisti si alternano (con i loro volti) e discutono sulle “origini del Male”. La scelta di “schiacciare” la telecamera sul volto dei “personaggi” e di costruire una maschera a tutto schermo, unita all’utilizzo di un montaggio che tende restituire la simultaneità degli interventi (la sensazione è quella di una grande tavola rotonda), serve agli autori per tirare le fila di un discorso altrimenti destinato a rimanere (inevitabilmente) sospeso. I binomi Male e Nichilismo da un lato e quello Bene e Determinismo dall’altro sono le due facce di una stessa medaglia: l’uomo. Al centro della scelta, del libero arbitrio, dell’esercizio del Male c’è solo l’uomo, con le sue debolezze, le sue frustrazioni, i suoi deliri e la banalità della sua ignavia. Se per Vito Mancuso l’uomo è “una serie di relazioni ordinate”(e pertanto non può essere endemicamente incline al Male); se Per Massimo Fini, l’uomo non può coesistere con la macchina (come teorizzato dai Futuristi), perché “questa prevale sull’individuo”; Se per Giancarlo Simonetti “siamo tutti figli di Caino” e quindi non possiamo che compiere il Male, su tutte le possibili affermazioni sull’argomento, è il giovane scrittore inglese David Peace quando afferma l’umanità e la normalità di Hitler (e quindi del Male?) a determinare lo smarcamento concettuale. Ognuno di noi è potenzialmente Hitler, ognuno di noi può annientare un suo simile e ognuno di noi può volere la distruzione dell’umanità come risposta d un sopruso, ad un rancore o ad una frustrazione. Su tutto domina la disperazione (cioè l’assenza di Speranza): condizione che può spingere l’individuo nei territori più estremi ed oscuri della sua psiche. Non ci sono (e mai ci saranno) risposte, ed è giusto così, quello che conta (e che preme a Simone Scafidi e Riva De Onestis) è la consapevolezza dell’esistenza del Male. Il “senso critico”, oggi annullato nell’individuo dal bombardamento mediatico indiscriminato, è l’unica risposta possibile al Nichilismo (inteso come mercificazione dell’”essere”) imperante, che domina sulle coscienze e ottunde la percezione. Il male non deve (e non può) essere estirpato, ma può (e deve) essere conosciuto…

In Appunti per la distruzione, la parola scritta, vulgata, trasfigurata (in immagini) diventa il filo che collega ogni cosa. Quella di Ferruccio Parazzoli è mirabilmente empatica e risolutiva nel costruire un ritratto perfettamente leggibile di Dante Virgili. La sua voce è una melodia sinuosa che entra nel cervello dello spettatore e che ne allieta l’udito, mentre la ripresa “sospesa” di Scafidi rende il tutto naturale e discorsivo. Il ricordo di Antonio Franchini è quello della voce di Dante Virgili, all’epoca della discussione (interna a Mondatori) in relazione alla pubblicazione del romanzo. Il suo volto lievemente imbronciato è fissato dalla ripresa in un quadro dall’eco Pasoliniano e fa il paio con il “controcampo” (inteso come lato dell’inquadratura) di Bruno Pischedda. Scrittori che parlano, ricordano, raccontano, diventano pagine di “vero Cinema” in quanto evocative del loro stesso contenuto.

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L’allucinante grandezza delle manifestazioni Naziste. Berlino, doveva divenire il simbolo del suo Stato. L’estasi del potere gli bastava tutta di granito ed eterna. Il delirio in cui cadeva durante i discorsi. Lo vidi una volta trasfigurato in quel salone nereggiante di teste. Un completo soddisfacimento emotivo. Dante Virgili sogna Hitler (il passato) e immagina l’11 Settembre 2001 (il futuro). La “distruzione” è al di là da venire (e dall’essere pensata), quando il libro esce nel 1970, ma è del tutto evidente che uno scrittore (e Virgili lo è nel senso pieno del termine), frequentatore dei lati più oscuri e limacciosi della psiche e dell’animo umano, sperimentatore (su di se) del male fatto e ricevuto, incarnazione (deturpata e repellente) della bruttezza estetica, ha la VISIONE “GIUSTA” (col senno di poi?), della direzione catastrofica verso cui si sta dirigendo l’umanità. Anzi, è egli stesso a spingerla con forza verso il baratro…Leben macht sklaven (vivere rende schiavi). L’ (auto)distruzione microscopica della sua esistenza diventa parallelo macroscopico dell’(auto)distruzione mondiale….

“Ma la prossima volta, non saranno eterni santuari.
Le città yankee.
Combuste Dilaniate.
Vedo i grattacieli di acciaio
Sotto un diluvio di fiamme”

 

(Dante Virgili – La distruzione)

di Fabrizio Fogliato

 

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