La Bestia… ovvero, quando la perversione si fa arte e politica

La Bestia Feroce di cui si parla da qualche tempo è attualmente nei dintorni. Ha divorato ieri una fanciulla che sorvegliava il bestiame qui vicino. La provincia propone una ricompensa di 3000 monete per chiunque ucciderà questo animale, ma nessuno ha ancora trovato il momento per attaccarlo. (La Bête de Gévaudan, “Gazzette de France” 14 Gennaio 1765).

La bestialità e la zoofilia sono al centro dell’opera surrealista La Bête (la Bestia) di Walerian Borowczyk, che grazie alla Ripley’s Home Video è ora possibile apprezzare nella sua integralità e nel suo montaggio originale.

Le perversioni sono lo strumento che Borowczyk utilizza per concretizzare il desiderio e il piacere femminile: si va dal feticismo di Goto, l’Isola dell’Amore e de Il margine, al lesbismo e all’incesto presenti ne I Racconti immorali e in Interno di un convento, fino alla zoofilia de La Bestia e di Tre donne immorali?. L’orgasmo femminile è ciò che il regista polacco ha sempre cercato di rappresentare e lo ha fatto materializzando il desiderio, non importa se tenero o mostruoso, quello che conta è che la perversione nel cinema di Borowczyk non è mai tale, ma è l’unico strumento “puro” per evadere dalle costrizioni attraverso la fantasia.

Nel suo capolavoro La Bestia, la zoofilia prende forma in un ambiente chiuso e oppressivo in cui si deve celebrare un matrimonio combinato (altra costrizione) e dove gli atti sessuali e non, non trovano mai il loro compimento. Una villa con gli interni “carnosi” (marroni e rossi come la carne e il sangue) dove le “bestie” animali e umane (il padre assassino, il prete pederasta, la figlia ninfomane) scatenano in Lucy (Sirpa Lane) il desiderio perverso di essere posseduta da una bestia con un fallo enorme, mente lei si masturba con una rosa. L’onanismo animato e animante delle sue fantasie quindi, viene in soccorso di Lucy affascinata dalla leggenda della bestia al punto da desiderare di esserne posseduta ma le permette allo stesso tempo di trasformarsi da vittima in carnefice. Uccidere di piacere la bestia è l’atto attraverso cui Lucy si guadagna la possibilità di fuggire dalla villa (metafora della decadenza aristocratica) e di riappropriarsi del suo essere donna.

Il marchese De l’Esperance (Guy Trejan), nobile in decadenza, tenta di riacquistare la ricchezza perduta organizzando il matrimonio tra il figlio Mathurin (Pierre Benedetti) e Lucy Broadhurst (Lisbeth Hummel), secondo le volontà del padre di quest’ultima. I preparativi sono però ostacolati dal Duca Rammondelo De Balo (Dalio), fratello del cardinale Giuseppe, che dovrebbe celebrare le nozze. Lucy, giunta al castello del marchese con la zia Virginia (Elisabeth Kaza), rivive in sogno le avventure di Romilda De l’Esperance (Sirpa Lane), che, inseguita nel bosco da una bestia che tentava di violentarla, l’affrontò e la uccise di piacere.

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Previsto, in origine, come il quinto capitolo de I Racconti Immorali, il film diventa opera a se stante ed esce a Parigi il 20 agosto 1975. Seppur nell’estetica richiami l’opera precedente, sia per il legame tecnico, che per le tematiche affrontate (e difatti alcune scene de La Bestia vennero girate durante le riprese de I racconti immorali), se ne distacca per la forte componente surrealista e allegorica. In realtà l’origine e l’idea del film, risalgono ad alcuni anni prima. Nel 1972, il regista polacco viene chiamato dal produttore Anatole Dauman per rigirare il finale di un film di Alain Fleischer: Le rendez-vous en forêt è una fiaba gotico-bucolica con forti venature erotiche, e per il (nuovo) finale del film Walerian Borowczyk “inventa” una creatura bestiale dalle caratteristiche antropomorfe (dita al posto delle zampe). L’operazione non va in porto per le resistenze (anche giuridiche) opposte da Fleischer, che accusa il produttore di “manipolazione” e porta la vicenda in tribunale. Il regista polacco decide così di coniugare l’idea precedente con una vecchia superstizione della campagna francese, quella della “bestia di Géuvedan” (oggi diventata film con Il Patto dei Lupi di Cristophe Gans, 2001) e di traslare l’idea della “bestia” in un nuovo contesto, trasformando la vicenda in un’ allegoria sulle costrizioni borghesi.

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Egli gira nuovamente una favola erotica dove l’animalità (forza repressa dalla società dei consumi e delle convenzioni) e la natura (che nel film è splendente e rigogliosa in contrasto con gli interni plumbei e misteriosi della villa), accompagnano il trionfo della donna sia sulla bestia che sulla morte. E’ nel sogno di Lucy, che ha la forza dirompente del desiderio femminile, che crollano i tabù e che l’animalità dell’uomo (e della donna) sprigiona tutto il suo potere erotico. Un potere devastante, che distrugge l’ipocrisia (il finto perbenismo di zia Virginia, il prete pedofilo), uccide l’aristocrazia maschile (via via muoiono tutti i protagonisti maschi) e distrugge l’architettura (il finale con la villa in rovina scossa da raffiche di vento), ed infine libera dal peso del “peccato” (la citazione del Levitico espressa dal cardinale). Lo strumento utilizzato da Borowczyk, per rappresentare la decadenza, morale, fisica e congenita dell’ambiente aristocratico è quello dell’allegoria erotica. Non si ferma davanti a nulla e filma un iperrealista rapporto zoofilo di rara intensità e di giocosa ironia dove la donna si trasforma da preda in cacciatrice. Romilda de l’Esperance prima fugge terrorizzata, poi si spoglia degli abiti fortemente caratterizzati (le scarpette di raso, il corsetto e la parrucca) che ne delineano il ruolo sociale e al contempo ne sanciscono la costrizione del corpo, per affrontare la bestia ad armi pari. Nello scontro tra corpi nudi e “naturali” , la donna riacquista la sua essenza e la sua carica erotica e prende in mano le redini dell’amplesso: monta la bestia, la masturba, ne ritarda l’orgasmo conducendola prima alla follia e poi alla morte per troppo piacere.

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Non a caso il cammino che conduce alla “liberazione” di Romilda è per traslato (onirico) quello di Lucy (chiusa nel tailleur grigio e con un acconciatura che richiama le parrucche del settecento). Giunta nel parco la sua curiosità viene stimolata dalla presenza della natura e la sua Polaroid fotografa elementi fallici e strani fenomeni naturali (tutti riconducibili all’orgasmo, come il ribollire dello stagno), prima di entrare nell’ambiente chiuso (la villa) dove la sua sessualità repressa finalmente potrà liberarsi e dove troverà come detonatore tutta una serie di immagini, che stimoleranno la sua ricerca del piacere prima attraverso la masturbazione, poi mediante l’amplesso “sognato”. La giovane donna infatti, viene introdotta nella casa dove molteplici sono i rimandi alla bestialità e all’erotismo. Immagini, oggetti e indumenti (il corsetto conservato sotto vetro) si uniscono ad antichi libretti con incisioni erotico-bestiali e a quadri dalla forte componente erotica. Una sessualità esplicita e al contempo nascosta (ben orchestrata dalla macchina da presa-occhio di Borowczyk), che gioca sull’ironia e sul doppio. Emblematica l’immagine del quadro dietro il quale, nascosto dalla polvere, si trova un disegno dove una donna a gambe aperte si accoppia con un cane. Chiusa in quell’ambiente ostile e bigotto, Lucy comincia un percorso di liberazione sessuale le cui tappe sono determinate dalla presenza di oggetti allusivi così come dallo sguardo voyeuristico.

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Nella sua stanza, sdraiata sul suo letto guarda le polaroid che ha scattato ai cavalli durante la monta, ed eccitata comincia a masturbarsi. Dopo la cena interrotta dalla “volgarità di Mathurin” Lucy, torna in camera e subito dopo riceve in dono una rosa, che lei crede omaggio di Mathurin (in realtà inviata dal marchese De l’Esperance), e proprio con il fiore che da sempre nella letteratura richiama l’organo genitale femminile, si abbandona al delirio onirico-onanistico che le apre le porte alla vicenda erotica di Romilda dell’Esperance. La sessualità a questo punto non è più solo percepita e/o immaginata ma diventa allegoria del potere femminile così come della voglia di liberazione sessuale di Lucy. Non a caso quindi, il sogno sarà l’unica esperienza conclusa di tutto il film, che altrimenti vive di azioni reiterate e puntualmente interrotte (come gli amplessi clandestini tra il servo Tiffany e la figlia del marchese). Abbandonata sul sedile della Rolls Royce, Lucy rivivrà (in prima persona) il trionfo di Romilda sulla bestia. In conclusione quello di Borowczyk rimane un cinema unico e irripetibile capace di mettere a nudo lucidamente le miserie umane ingannando lo “spettatore” attraverso lo sguardo. Mostra continuamente perversioni e riti di morte affascinando il lato oscuro, onanista e feticista che si nasconde in ogni uomo e allo stesso tempo celebra la superiorità femminile che animata dal desiderio diventa un’ onda erotica “immorale” capace di travolgere ogni cosa e che trova la sua sublimazione nell’orgasmo solitario, vero piacere femminile secondo Borowczyk, alimentato dal desiderio voyeuristico dello sguardo:“Ho l’impressione che alla fine di un film lo “scambio” degli sguardi procura piacere…Nei film erotici o pornografici tutti i soggetti, tutti i tabù sono assolutamente “apparenti”: è solo una questione di sguardi.”

di Fabrizio Fogliato

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