Estratto del libro da La tratta delle bianche (1952) di Luigi Comencini

La tratta delle bianche è un film in cui si mescolano, vorticosamente, l’illusione del successo, l’avidità, la via facile per il guadagno, la freddezza dell’indifferenza, la svalutazione della vita e della dignità umana, la competizione e rivalità femminile, l’erotismo delle sottovesti e il gusto sadico dello spettacolo. Un film da cui non sono esenti da colpa non solo i protagonisti ma anche gli spettatori presenti in sala che per traslato sono quelli che, sadicamente e compiaciuti, assistono alla maratona, godono della sofferenza dei partecipanti e li istigano con scommesse e premi. In mezzo – tra attori e spettatori – si muovono i mezzani di cui Michele è il perfetto rappresentante ma la cui figura esiste perché da una parte ci sono Marquedi e il titolare dello sferisterio e dall’altra Alda, Giorgio e Linuccia. In un  film in cui tutti tradiscono tutti il mezzano, in quanto incarnazione della menzogna e del doppio-gioco, non può che farla da padrone fino a quando le cose vanno bene e diventare capro espiatorio quando la barca comincia ad affondare. Inoltre Michele è un uomo di borgata che prima di tutto tradisce la sua gente e le regole che governano questo strano microcosmo fatto di connivenza, rancori, invidie e solidarietà solo apparente.

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[…]Lucia è il personaggio più interessante perché è un misto di ingenuità (solo all’ultimo capisce cosa c’è dietro la maratona di ballo) e consapevolezza (si prostituisce per scelta e sfrutta il suo corpo e il suo ruolo per aiutare la rivale in amore Alda). E’ una figura moderna che scopre la sua femminilità e utilizza il suo corpo come strumento relazionale: cede alle lusinghe lesbiche (solo suggerite) di Clara per vestire abiti lussuosi e ricoprire un ruolo di potere accanto a Marquedi suscitando le ire della stessa Clara; si mostra senza pudori sia in sottoveste che coperta dal solo lenzuolo dopo la notte d’amore a pagamento con Marquedi; non si pente ma mostra solidarietà verso i suoi compagni di borgata quando, nel finale, denuncia la tratta delle schiave offrendo così la possibilità di redenzione tanto a Carlo quanto agli altri uomini e donne con cui è cresciuta assieme. E’ una figura emancipata, l’unica che, non a caso, attraversa (sempre in abito scuro), tutti i luoghi del film. Questi sono i veri protagonisti simbolici de La tratta delle bianche, ambienti e spazi di transito che rappresentano al meglio la precarietà dell’esistenza dei personaggi: il porto di Genova, la borgata con i suoi prefabbricati e baracche di lamiera, lo sferisterio, la balera e il sotterraneo del finale. […]

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