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Isa Miranda

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LA RONDE (1950) di Max Ophuls – Capitolo 3

“Io invece le vedo tutte, perché vedo…en ronde”.

È curioso vedere, come i personaggi nei film alle buone intenzioni iniziali facciano repentinamente seguire scelte dissolute e libertine – quasi come se essi stessi rifiutassero di riconoscere la loro natura tragica e distruttiva. Emblematico è l’episodio in cui Emma – recatasi a casa del giovane studente – tenta in ogni modo di convincersi a non concedersi all’uomo (indossando persino una doppia veletta), confidando ad Alfred la volontà di fermarsi solo per pochi minuti. Successivamente, invece, si scopre che non solo non ha preventivamente indossato il busto ma che ha portato con sé un allacciascarpe, in modo da non perdere tempo ulteriore al momento di rivestirsi.

LA RONDE (1950) di Max Ophuls – Capitolo 2

L’antropologia sessuale che rifiuta ogni condizionamento ma che, al tempo stesso, pretende di autolimitarsi

L’assunto di fondo, quello di matrice schnitzleriana è disarmante nella sua linearità e (apparente) banalità: l’amore dapprima si esprime attraverso un’irrefrenabile passione, un inesausto desiderio fisico e poi, dopo il coito, si spegne progressivamente nella routine e nell’abitudine. Gli incontri nel film, altro non sono che pura pulsione biologica in cui il momento della seduzione, più che preambolo necessario, risulta essere mero ornamento. Lo sguardo oggettivo di Ophuls è impietoso e imperioso nel tratteggiare una società manipolata e manipolabile che ha rinunciato ai sentimenti e che sembra essere travolta dal vuoto e dall’assenza. A dimostrazione di ciò è interessante notare l’uso della parola nel film: quasi sempre contraddittoria, ipocrita e inautentica, modulata sulla retorica che accompagna l’idea (e non la realtà) di ogni ruolo sociale – trova perfetta sintesi nell’affermazione del conte: “Proprio le cose di cui si parla…non esistono”.

LA RONDE (1950) di Max Ophuls – Capitolo 1

L’immediatezza realistica della messa in scena si configura in un ritmo centripeto, vorticoso e incessante volto a stritolare i personaggi.

Vienna 1900. Un narratore (Anton Wallbrook) entra in scena e recita davanti ad un palco, si cambia d’abito e si avvicina ad una giostra di quelle per i bambini: Il “girotondo” può cominciare. Un prostituta di nome Léocadie (Simone Signoret) conta i soldati che attraversano un portico: quando arriva il sesto di essi, lo seduce e lo conduce con sé. Sotto un ponte l’entreneuse e Franz (Serge Reggiani) consumano la loro passione. Subito dopo lui l’abbandona e si ritira frettolosamente in caserma. Qui lo aspetta il narratore, travestito da trombettiere, il quale lo invita a sbrigarsi per il contrappello, evitare la consegna, perché sabato sera “la ronde” ha bisogno di lui. La sera del sabato Franz presenzia ad una serata danzante al Prater; qui seduce una giovane cameriera di nome Marie (Simone Simon), la quale si lascia abbagliare dal fascino della divisa e si apparta con lui nel parco antistante la villa: qui i due si amano e poi si lasciano. Lui vuole continuare a ballare, lei lo aspetta, rientra in ritardo e viene licenziata. Il narratore la accompagna, lungo un passaggio temporale, verso un nuovo padrone. Tempo dopo Marie è a servizio presso una famiglia il cui figlio è un giovane studente di nome Alfred (Daniel Gélin). Una domenica il giovane è a casa da solo in attesa dell’arrivo del professore di francese. Marie, in cucina, legge una lettera di Franz di ritorno dalle manovre militari. Alfred, con la scusa di avere sete, chiede alla donna di portargli un bicchiere d’acqua; la seduce e con lei trascorre un pomeriggio d’amore. Il narratore, travestito da mercante maghrebino, invita l’ignaro professore a desistere dal recarsi a casa del giovane.

Dall’altra parte della città, in un lussuoso pied-a-terre, alcuni giorni dopo, il giovane Alfred attende l’arrivo di qualcuno. Una carrozza si ferma davanti all’edificio: una donna scende con molta circospezione e si avvia verso l’ingresso: è la Signora Emma Breitkopf (Danielle Darrieux) , donna borghese, elegante e sposata. Nell’appartamento, tra imbarazzo ed emozione il giovane e le donna si guardano e si studiano reciprocamente. I due sembrano non concludere nulla, al punto che il narratore vede la giostra incepparsi, sbuffare e singhiozzare: il meccanismo si ferma ed egli si deve mettere al lavoro per farlo ripartire prima che sia troppo tardi. Mentre Alfred si reca in cucina per prendere una bottiglia di vino, la donna si spoglia e si infila nel letto per attendere il giovane. I due si abbandonano ad una lunga passione poi, la donna si riveste celermente, saluta il giovane studente con la promessa di rivedersi al ballo la sera successiva. Emma Breitkopf torna a casa dal marito. I coniugi Breitkopf sono in camera da letto, sdraiati nei loro letti, vicini ma separati, discutono del passato, rielaborano ricordi e portano la discussione sul tema del tradimento. Poi ogni parola viene meno, i due fanno l’amore e si addormentano insieme.

L’ASSOLUTO NATURALE (1969) di Mauro Bolognini

In Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

[…] Un’Italia scientemente e volutamente cancellata per essere sostituita da spazi oscuri dominati dai chiaroscuri e da linee geometriche di raggelante precisione. Budelli oscuri dall’architettura riquadrata e persi in una profondità senza fine su cui emergono i tre colori base virati in acido: giallo, ciano e magenta. I vetri diventano la prigione/acquario in cui sono sigillati l’uomo e la donna. Nella visione di Bolognini ci sono solo spazi che – anche per la forma e per il modo in cui sono inquadrati – rimandano a delle bare. Il tema della morte è dunque centrale, al punto da essere declinato sotto diverse forme. Morte come incomunicabilità: la morte della parola come strumento di ragionamento e di relazione. Non a caso la donna, per istruire l’uomo, ricorre alla visone del documentario sulla riproduzione dei bachi da seta, mentre l’uomo, che fa affidamento sulla parole per far prevalere la ragione sull’istinto, viene travolto e ucciso dall’auto guidata dalla donna (nel libro è invece obbligato ad impiccarsi). Morte come assenza: quella di luoghi di passaggio.