I LIBRI DI INLAND #6
Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano
di Fabrizio Fogliato con prefazione di Romolo Guerrieri
Bietti Edizioni, 2022

Itinerario n.03: ritorno: La febbre dell’oro (stralci)

Sono le domande pressanti, il prolungamento del fermo, i continui e ripetuti interrogatori sulla sedia di fronte al commissario, lo stordimento del fumo di sigarette che per ore e ore asfissia i “contendenti”, prima che una finestra venga aperta, che portano l’indiziato a confessare (anche se non sempre è realmente colpevole). L’interrogatorio di polizia diventa – anche nel cinema italiano – un topos di riferimento. Di nuovo Pietro Germi ci mette lo zampino, partecipando come attore protagonista (nella parte del Commissario Fioresi) a Il rossetto (1960), esordio alla regia di Damiano Damiani, variazione sul neonato spartito dell’interrogatorio mutato in indagine filosofica.

Come Un maledetto imbroglio, anche il film di Damiani non rispetta le convenzioni di genere ma si offre come scavo antropologico e psicologico di una società che sta cambiando pelle. Lascia il crimine sullo sfondo, trova una chiave di lettura originale per interpretare la realtà in cui il delitto matura: gli interessano cause e conseguenze, non il fatto in sé. Il suo è un approccio scientifico, quasi da entomologo, per capire le ragioni dei comportamenti umani. Non costruisce personaggi emblematici né simbolici ma verosimili e complessi.

C’era bisogno di far vedere che siamo in un quartiere popolare, con molti personaggi, dove le cose si definiscono poco a poco: ci sono delle ragazzine, sanno che una di loro è innamorata di un giovanotto, e arrivano a dirglielo, per prenderla in giro. All’inizio è una vicenda di persone estranee che si svolge per la strada, in una dimensione collettiva. […] Volevo fare la storia di una bambina con il suo vestitino, il suo appartamentino, la mamma che si veste bene: una bambina che va al cinema, che legge e si innamora, nonostante l’età. Fin dall’inizio, insomma, sentiamo che siamo in un Paese in crescendo, in un momento di apertura della società italiana, di approdo alla comodità dell’esistenza. […] L’importante non è il modo di arrivare alla verità; è il dramma del personaggio che emerge a quel punto. Ne Il rossetto l’importante è che la bambina improvvisamente si trovi su un altro piano, saltando i passaggi intermedi; e questo la fa soffrire, la fa sentire colpevole6.

Gli interrogatori di Silvana De Carli (Laura Vivaldi) e Gino Luciani (Pierre Brice) fanno emergere sia lo sfondo urbanistico della vicenda (quartieri popolari con enormi caseggiati, strade sterrate, cantieri, baracche) sia l’approccio e il tentativo di superamento dell’indigenza con l’affrancamento dalla povertà e la conquista di un posto di lavoro. Silvana è una bambina che cresce sola, priva di modelli positivi, e ha come esempio da imitare le dive del cinema e dei rotocalchi. La madre è più interessata a tenere in piedi una relazione extraconiugale in frantumi piuttosto che a prendersi cura della figlia. Silvana è un misto di ingenuità e provocazione: agisce per emulazione, cercando di riprodurre gli stilemi comportamentali dei personaggi ammirati sul grande schermo. Ma è anche sincera: quello che appare un ricatto infantile nei confronti di Gino in realtà è la verità.

Per saperne di più:

www.conlarabbia.it

di Fabrizio Fogliato ©

6 Estratti da un’intervista sul film in Pezzotta A., Regia di Damiano Damiani, Cec-Cinemazero-Cineteca del Friuli, Pordenone, 2004, pp. 49-51.

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