Peccati inconfessabili: La vendetta è il mio perdono

 In Exposè, la donna ne esce sconfitta e – nell’assolato finale – viene uccisa da un uomo mentre lei sta per portare a termine la sua vendetta (in Ms.45 sarà una donna a fermare Thana); curiosamente – nel finale de La settima donna – troviamo una suora che si vendica a colpi di pistola dei tre malviventi che hanno seviziato e tenuto sotto assedio per giorni lei e un gruppo di studentesse. In mezzo a tanti titoli, ce ne sono un paio che Ferrara – grande frequentatore onnivoro dei double-bill della 42a Strada – sembra avere visto e interiorizzato visto che, alcuni elementi di Ms. 45 rimandano a loro. Thriller-en grym film (id., 1973) di Bo Arne Vibenius e I spit on your grave (Non violentate Jennifer, 1978) di Meir Zarchi, rispetto al film di Ferrara sono opere sexploitation che bruciano le buone intenzioni di fondo con una messa in scena troppo grezza ed effettistica. Thriller-en grym film di Bo Arne Vibenius (ma il film è firmato con lo pseudonimo di Alex Fridolinski) ha una storia alquanto bizzarra, tanto quanto quella del suo autore.

La storia e i film di Bo Arne Vibenius: http://www.fabriziofogliato.com/2017/06/13/bo-arne-vibenius-thriller-en-grym-film-1972-breaking-point-pornografisk-thriller-1975/

Vibenius è un regista grezzo e sproporzionatamente ambizioso, nella seconda parte film esagera con i rallenty, ma non si può non pensare a Frigga (la protagonista) come la degna progenitrice di Thana in Ms. 45. L’immagine di Christina Lindberg con pastrano, benda sull’occhio e fucile a canne mozze è un’icona fetish che non si dimentica come la sexy-suora assassina che bacia i proiettili nel finale del film di Ferrara. Inoltre Frigga è muta come Thana e come l’eroina ferrariana usa il fucile e la pistola per comunicare la propria frustrazione e la propria rabbia (ha subito uno stupro ed è stata costretta a prostituirsi).

Il regista di I Spit on your grave è l’americano Meir Zarchi. Classe 1937, è autore solo di un altro film negli anni ’80: Don’t mess with my sister (id. 1987). A proposito del suo film dice: “E’ un film dell’orrore solo perché provoca orrore in chi lo guarda. È difficile anche per me rivederlo, perché presenta le cose come stanno: lo stupro non è affatto piacevole, è una cosa terribile con cui convivere anche dopo che è accaduta. Chi ha il diritto di decidere se la vendetta di Jennifer è lecita o non lo è?”[1]. Zarchi gira il film con pochi mezzi e con uno stile secco e asciutto, con pochi movimenti di macchina, tempi lunghi e senza colonna sonora, mettendo in scena il punto di non-ritorno della rappresentazione della violenza sessuale.

La scena dello stupro, occupa tutta la parte centrale del film e dura quasi quaranta (insostenibili e compiaciuti) minuti. La vendetta successiva di Jennifer (Camille Keaton) – relegata nel film a poco più dell’ultimo quarto d’ora – appare però come un atto di pura illusione, o quanto meno elaborato solo a livello mentale. Difatti la prima cosa che lei fa dopo essersi ripresa è mettere in ordine il romanzo che stava scrivendo e che “il branco” le ha buttato all’aria, e sedersi davanti alla macchina da scrivere con un foglio bianco.

E’ comunque interessante notare come, cinicamente e spudoratamente, in entrambe i film, il break-point tra stupro e vendetta sia dato dal momento in cui le due protagoniste si recano in chiesa a pregare e a chiedere il perdono di Dio per il Male che stanno per mettere in atto.

di Fabrizio Fogliato ©

[1]    Roberto Curti, Il giorno della donna, in Sesso e violenza, il cinema della vendetta, Nocturno Dossier, n.4, Ottobre 2002

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