Favola del XX° secolo

Riccardo intraprende un viaggio – via crucis che a tappe forzate (e a ritroso) lo porta a confrontarsi con il passato e il presente di un’Italia fatta di cimiteri di automobili, case dismesse e cascine semi-abbandonate. Luoghi e volti – quelli che incontra il giovane – retaggio di un progresso che produce solo rifiuti, di un lavoro che non c’è, e di una cultura contadina in progressivo decadimento e abbandono. Il “viaggio” di Riccardo è dunque finalizzato a porre una riflessione – cinica e spietata – sul contesto sociale in cui maturano le istanze rivoluzionarie e in cui crescono e diventano adulti questi giovani che sono sì colpevoli ma, inevitabilmente, anche vittime. In quest’ottica entra il concetto di possesso non inteso come accumulo di beni materiali bensì come contratto delle coscienze e dei piaceri.

L’acido condiviso con Marina, l’aborto di Stefania, la violenza sessuale imposta da Riccardo a Marina nell’isolamento del casale, lo stupro e la violenza – catartica – finale sono tutte forme di rappresentazione di un desiderio divenuto possesso attraverso l’imposizione e la distruzione. Si avverte, nei personaggi del film, il riemergere degli istinti basici – temporaneamente anestetizzati dal benessere – intesi come forma, violenta, di riappropriazione dei propri spazi vitali. Una primordialità che, nell’economia del film, ben presto si riduce a ultimo disperato strumento di affermazione delle proprie idee. Uno strumento, però, tanto inutile quanto inefficace poiché nelle coscienze ha già prevalso lo spirito di conservazione e la tendenza alla normalizzazione. E, allora, non rimane altro che la strada del martirio ricercato dopo aver, comunque, agito e fatto una scelta “politica”. Il non recedere del giovane seminarista appare dunque come l’unico, flebile, alito di speranza in un film disperato e profeticamente disilluso

Prima Stazione – L’illusione della carne. Riccardo predica nella Chiesa vuota. Le sue parole sono quelle di San Paolo: “Fuggite la fornicazione. Io non ho colpa, sono un angelo senza carne”. All’assenza di fedeli, al termine del discorso/omelia di Riccardo, si sostituisce l’urlo fragoroso di una manifestazione di piazza. Allo spirito è subentrata la materia, e il prete è un vagabondo alla ricerca del “suo” popolo.

Seconda Stazione – La tentazione. Riccardo recupera il corpo di Marina dalla spiaggia, lo depone su una panchina nel parco della villa. Egli sfiora il corpo nudo di Marina, ne odora la pelle, ne assapora i seni, la desidera e al contempo la respinge. Entra in casa, prende una camicia, la riveste e poi ne restituisce il corpo svenuto agli amici.

Terza Stazione – La vestizione. Dopo aver subito un furto, Riccardo si reca dalla sorellastra a chiedere i soldi per ricomprarsi la tonaca da prete. Gliela hanno rubata e lui si interroga sul perché gli abbiamo portato via anche quella. Entra in un gabinetto pubblico, sporco e maleodorante, indossa l’abito e mentre esce pensa tra sé: “Come è credule la vita a vent’anni”.

Quarta Stazione – L’abbraccio di Eva. Vestito da prete, Riccardo incontra Marina in un parco, anche lei è vestita da prete. La scena è giocata tra sogno e surrealismo. Marina lo conduce in un luogo asettico, dipinto di un bianco abbacinante, mentre sullo sfondo echeggia una musica da Chiesa. I due si guardano “ostacolati” dall’ondeggiare di due gabbie di uccelli (ma quella che scorre davanti a Riccardo non ne copre mai interamente il volto lasciando trapelare la sua libertà e il suo anticonformismo), si spogliano nudi e Marina mostra il suo sesso depilato. Si uniscono in un dolce e placido amplesso al termine del quale Riccardo sospira: “Ora finalmente mi sento libero”. Marina, seduta accanto a lui gli offre la “mela del peccato” che lei ha appena addentato, ma lui la rifiuta sorridente.

Quinta Stazione – La comunione con il Male. In un cimitero di automobili – simbolo dello sfascio della società meccanizzata – Riccardo accetta l’acido offertole da Marina. Attraverso questa “comunione” blasfema egli riconosce il Male e trova la via della salvezza prima dell’autodistruzione. L’Eucarestia con la droga (sottolineata dal dettaglio sulla bocca del giovane al momento dell’assunzione), se da un lato sembra sottolineare l’accettazione del degrado e dell’abbandono da parte del seminarista, attraverso l’allucinazione successiva (come detto in precedenza) ne svela la vera essenza di uomo puro e misericordioso. Rivolto a Marina le dice: “No, Marina. Non è con queste cose che si conquista la libertà”.

Sesta Stazione – La morte dell’innocenza. Sino ad ora Riccardo è stato spettatore della propria vita e di fronte all’aborto di Serena, rimane sconvolto, perché si confronta, per la prima volta, con quell’innocenza a lungo ricercata.

Settima Stazione – Il sacrificio. Dopo aver assistito attonito allo stupro di Marina da parte di due motociclisti, reagisce violentemente, si avventa su di loro con un bastone e riesce ad allontanarli. Finalmente si sente “libero” – non più spettatore ma protagonista della sua esistenza – consapevole che ora è pronto per morire. “Cristo non è morto per errore”, gli ricordava il padre superiore ed egli è finalmente giunto al termine del suo percorso cristologico. Indossa la tonaca mentre arrivano i motociclisti per vendicarsi: viene aggredito con bastoni e catene e, senza reagire, accetta serenamente la morte. Viene abbandonato “crocifisso” sulla sabbia di una spiaggia deserta mentre il sole tramonta sullo sfondo.

di Fabrizio Fogliato ©

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