Un confuso apologo, trasgressivo ed estremo sulla deriva iconoclasta di una società pre-globalizzata

Velluto neroè l’ultimo film da regista di Brunello Rondi – penultimo se si considera lo sceneggiato televisivo La Vocediretto a distanza di tre anni tra il 1981 e il 1982. Considerato dai più come un “suicidio d’autore”, Velluto nero, apparentemente, sembra inserirsi nel filone tutto italiano di Emanuelle Nerainiziato da Adalberto Albertini (con il film omonimo nel 1975 firmato come Albert Thomas) e proseguito sotto la regia di Aristide Massaccesi (alias Joe D’Amato), attraverso la costruzione di una serie di film finalizzati alla serializzazione delle avventure di questa disinibita eroina da fumetto. Come racconta Davide Pulici c’è un forte legame produttivo tra Velluto neroe il ciclo in questione: “All’indomani del grande successo di Emanuelle Neradi Bitto Albertini, due produzioni distinte, la Kristal di Franco Gaudenzi e la Rekord di Alfredo Bini, mettono in macchina contemporaneamente due film: Emanuelle Nera-Orient Reportage(che in un primo tempo dovrebbe intitolarsi Velluto nero) e Velluto nero(che nasce come Il gruppo), in entrambi i quali Laura Gemser interpreta un personaggio di nome Emanuelle[Al tropico del sesso-Nocturno Dossier n.35].

Tra i due film, però, c’è una differenza sostanziale: mentre in Emanuelle Nera-Orient Reportage, il personaggio della Gemser è il fulcro attorno a cui ruota tutta l’azione, in Velluto nerodi Rondi, Emanuelle non è che uno degli elementi integrativi del plot (anche se nei titoli di testa sotto il nome della Gemser, compare la dicitura “Emanuelle Nera”), in un film che nasce come connubio tra il filone delle Emanuelle (rigorosamente con una sola emme) e il processo produttivo portato avanti da Ovidio G. Assonitis con Laure, interpretato da Annie Belle. Laure, altro non è che una favola per adulti (il finale con il corpo dipinto d’argento) in cui una principessa senza macchia e senza peccato circuisce uomini e donne di ogni sorta lasciando dietro di sè un alone di mistero e di magnetismo erotico.

In Lauresi concentra tutto l’universo di Emmanuelle Arsan (pseudonimo dietro cui si nasconde Marayat Bibidh, moglie del diplomatico francese membro dell’Unesco Louis-Jacque Rollet- Andriane – vero autore di Emmanuelle, il romanzo-scandalo degli anni ’70). In Laure– nonostante i personaggi si trastullino e si annoino sullo sfondo di paradisi esotici e tropicali – la protagonista, Laure, è un’eroina candida, simbolo della libertà sessuale capace – nonostante si conceda qualunque esperienza erotica – di rimanere pura e immacolata: perfetta sintesi di “madre natura” fattasi femmina. Laure vive circondata da esseri subdoli e meschini che amano crogiolarsi nel lusso e nella dissolutezza, carichi di denaro e schiavi dei propri sogni cui cercano inutilmente di dare forza. A tal proposito è significativa la frase che Laure rivolge al gruppo di borghesi decadenti che ha di fronte (e che per traslato – tramite lo sguardo in macchina – diventano anche gli spettatori seduti in platea): “Siamo tutti nati in schiavitù e tagliare le catene è solo l’inizio, ma dobbiamo chiederci cosa ne faremo della nostra libertà”.

Il film di Rondi, che include le due eroine (una bianca e una nera), parte da questa frase per ragionare su qualcosa di molto più complesso, che assomiglia molto alle teorie di Susan Sontag, scrittrice e filosofa (nonché tenace femminista) che in quegli anni denominava la razza bianca come “cancro dell’umanità”. Velluto nero, uscito nelle sale il 6 Agosto 1976 (Laureesce il 4 Febbraio dello stesso anno) ribalta i concetti libertari, femministi, e ideologici di queli anni. La teoria di fondo di un libro come Emmanuelle è quella secondo cui l’abbattimento delle barriere di morale e tabù è l’unica strada percorribile per arrivare alla più completa libertà sessuale. L’erotismo più profondo nasce dal senso di proibito, da ciò che non si può fare e che facciamo per pura trasgressione; al contrario, una completa libertà comportamentale, inevitabilmente, diventa routine e ripetizione, legata al senso di “non permesso”. Per questo è più erotico un corpo semi vestito di uno completamente nudo, al punto che il naturismo può essere definito l’opposto dell’erotismo.

Il film di Rondi non è dunque l’ennesimo capitolo della serie di Emanuelle nera (anche se è conosciuto con il titolo internazionale Emanuelle in Egypt), bensì una riflessione irrisolta e sconnessa, talvolta puerile, ma profondamente sincera sul concetto di libertà e sui pericoli ad esso connessi; ma è anche un confuso (questo sì) apologo, trasgressivo ed estremo sulla deriva iconoclasta di una società pre-globalizzata, in cui il colonialismo moderno diventa metafora del futuro della società e cartina di tornasole dell’avanzamento (indiscriminato) del progresso e del consumismo. La degenerazione dei comportamenti umani presenti nel film, contrasta fortemente con il rigore e l’eleganza della messa in scena, mentre l’estremizzazione dell’immagine e del significante tendono a diventare monito morale (e mai moralista) nei confronti di un latente primitivismo comportamentale che porta l’uomo a regredire socialmente in maniera direttamente proporzionale a quanto progredisce tecnologicamente.

[CONTINUA]

di Fabrizio Fogliato

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