Scavando negli oscuri registri del passato, una spaventosa pagina attira l’attenzione. Chinatown, quartiere del crimine, della paura, dell’odio e del mistero…il Cafè Mandarin, un vortice di vizi e di intrighi.

Anche nel periodo del cinema muto c’è stato (come sempre in tutta la storia del cinema) un cinema medio e popolare di matrice artigianale in grado di coinvolgere grandi masse di pubblico e di emozionare platee sterminate. A distanza di più di un secolo è talvolta difficile reperire questi film e ritrovare nel restauro la possibilità di conoscerli. Da sempre relegate nella categoria (pretestuosa) dei B-Movies, queste pellicole non trovano cittadinanza né sui libri di storia, né tanto meno sulle riviste di critica. Considerate opere minori (come in effetti sono), prive di valore artistico e di interessanti spunti critico-semiologici, realizzate da registi anonimi e spesso sconosciuti, alcune di esse tuttavia contengono elementi sorprendenti e situazioni anticipatrici dei “grandi classici”. The Shock di Lambert Hillyer è pienamente ascrivibile a questa categoria di film, ma a differenza di altri, fruisce della presenza di Lon Chaney nel ruolo di protagonista, di un villain donna difficilmente dimenticabile e della sorprendente e spettacolare distruzione di San Francisco nel finale del film

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Nato nello stato dell’Indiana nel 1889 dall’attrice Lydia Knott specializzata in ruoli western, Lambert Hillyer frequenta il mondo dello spettacolo sin da quando è bambino. Nei primi anni della sua carriera si dedica sia al giornalismo, sia al ruolo di scrittore. A partire dal 1917 comincia a lavorare per il mondo del cinema scrivendo sceneggiature e firmando regie di film di largo consumo: prevalentemente western ma anche melodrammi e polizieschi. La professione di regista la apprende e la perfeziona a Inceville sotto la supervisione del magnate del cinema muto Thomas Ince. A ventinove anni esordisce dietro la macchina da presa, con il film Strife (1917); nel 1919 gira Square Deal Sanderson e per tutti gli anni ’10 lega il suo nome al genere western e al sodalizio artistico con l’attore William S. Hart, che proprio grazie ai film di Hillyer diventa una star. Altri attori lanciati da Hillyer sono divenuti beniamini del grande pubblico come Buck Jones e Tom Mix, ma il regista dell’Indiana ha lavorato nella sua lunga e prolifica carriera anche con Lon Chaney (The Shock, 1923), Boris Karloff e Bela Lugosi (The Invisible ray, 1936). Successivamente alterna la sua produzione dividendosi tra cinema e televisione e nei primi anni ’50 diventa il regista principale della pioneristica serie televisiva western The Cisco Kid. Dopo questa esperienza decide di ritirarsi dalle scene. Muore a Los Angeles nel 1969. Lambert Hillyer non è nulla più che un onesto artigiano, capace e meticoloso, interessato a dirigere opere non particolarmente complesse indirizzate ad un pubblico eterogeneo e copioso, caratterizzate da una sorprendente vivacità della messa in scena e da un montaggio serrato e dinamico decisamente in anticipo sui tempi.

Nonostante ciò nel film preso in questione, il regista distilla qua e là elementi asimmetrici e spiazzanti in grado di elevare di una spanna il suo contenuto artistico rispetto alla media dei prodotti “di genere”. L’elemento più interessante e inaspettato in un film come The Shock è sicuramente quello della rappresentazione del Cafè Mandarin a Chinatown, un locale in cui si riunisce (e si riconosce) tutta la criminalità di San Francisco, che nelle prime inquadrature del film viene associato alle immagini notturne della citta e ad una didascalia che ne spiega la funzione: Scavando negli oscuri registri del passato, una spaventosa pagina attira l’attenzione. Chinatown, quartiere del crimine, della paura, dell’odio e del mistero…il Cafè Mandarin, un vortice di vizi e di intrighi. Oltre ad essere il luogo in cui inizia e terrmina la vicenda e a rappresentare quindi la ciclicità degli evinti, il Cafè Mandarin presenta una ambientazione sporca e volgare, popolata da individui gretti (come quello che non riesce a mangiare con le bacchette) e da donne lascive e di malaffare (le stesse che rimproverano l’uomo con affermazioni come: “Fai uno sforzo, brutto idiota!”), ma è soprattutto un luogo misterioso e sfuggente.

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Forse involontariamente, ma il regista mostra il Cafè Mandarin non come un luogo reale, ma come un non-luogo mentale, una specie di spazio-cervello del crimine, in cui la logica non è contemplata e in cui l’irrazionale prende forma. Il messaggio cifrato in alfabeto morse scambiato tra il gestore (che battendo con l’unghia sul bancone del bar dice a Wilse Dilling: “Vai a casa di Queen Ann immediatamente”) e il criminale (che replica “ok” battendo la bacchetta sul bordo del piatto), è significativo nel momento in cui, una volta allargata l’inquadratura, si vede che il bancone del bar è posizionato alle spalle di Dilling per cui l’uomo può solo sentirlo il messaggio cifrato e non vederlo. Ma nel caos infernale della bettola gremita di persone, come fa Dilling a sentire il ticchettio di un unghia sul legno se non attraverso una manifestazione mentale (e psichica) del messaggio stesso? Ecco allora che il Cafè Mandarin, anche in quanto teatro del pre-finale del film (luogo prescelto per far scattare la trappola nei confronti degli Hadley) e in quando spazio dominato dalla presenza fisica e non di Ann Cardington assume i connotati di un luogo mentale in cui prendono forma i pensieri, i desideri e le volontà della donna che governa la criminalità della città.
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The Shock è tratto da un soggetto di William Dudley Pelley, sceneggiato da Charles Kenyon e Arthur Slatter (entrambi non accreditati), ed esordisce nelle sale americane, distribuito dalla Universal di Carl Leammle, il 10 giugno 1923. Oltre alla presenza caratteristica (ma anche prevedibile) di Lon Chaney nella parte del truffatore storpio, il film presenta la figura inquietante e mefistofelica di un mezzana soprannominata “Queen Ann” che guida la criminalità di San Francisco. Ann Cardington interpretata dall’attrice Christine Mayo è, forse, la figura più interessante di tutto il film. Una donna decisa, emancipata, decisamente in anticipo sui tempi per il modo di trattare con gli uomini, per nulla seducente ma anzi arcigna e brutale, animata tanto dalla sete di denaro quanto da quella di vendetta. Una “arpia” nel senso classico del termine), feroce e sguaiata, che non esita a infierire su un disabile che utilizza la malattia di Wilse Dilling per i propri scopi biechi e criminali, che approfitta della disgrazia e della paralisi di Gertrude per vendicarsi del padre.

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San Francisco 1900. Wilse Dilling (Lon Chaney) è un truffatore storpio e deforme che vive nel quartiere di Chinatown. Ann Cardington (Christine Mayo), meglio conosciuta come “Queen Ann”, guida la criminalità nella città della west-coast e invia Dilling a Fallbrook, una piccola cittadina a venti chilometri, per tenere d’occhio i movimenti del banchiere locale Micha Hadley (William Gallese). Dilling comincia a frequentare la figlia del banchiere Gertrude Hadley (Virginia Valli) e se ne innamora. Quando scopre che il padre della ragazza è sotto ricatto di Ann Cardington decide di far saltare la banca per far sparire tutti i documenti compromettenti. L’esplosione, purtroppo coinvolge anche Gertrude che nel frattempo si è recata dal padre con il fidanzato Jack Cooper (Jack Mower). Disperato per l’accaduto Wilse Dilling cerca di convincere “Queen Ann” a desistere dal suo piano, ma la donna è irremovibile e anzi obbliga lo stesso Dilling a organizzare una trappola per incastrare Micha e la figlia. Mentre al situazione sta precipitando e Wilse Dilling è in balia dei suoi aguzzini, su San Francisco si scatena un potentissimo terremoto (quello del 1906) che diventa risolutore. Nel finale la grazia divina porta alla guarigione sia di Gertrude che di Wilse.

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Ann Cardington con i tratti mascolini, il ghigno malvagio e lo sguardo ferale, è l’opposto della femme fatale e può essere considerata l’archetipo della dark lady. La sua “antagonista” Gertrude Hadley, è invece una creatura eterea dallo sguardo dolce e rassicurante, generosa di carattere e attenta ai bisogni degli altri (l’attenzione che lei ha nei confronti di Dilling lo porta a fraintendere un tipo di rapporto diverso da quello della semplice amicizia); proprio queste sue caratteristiche scatenano l’invidia di Ann nel finale del film: la donna criminale vede nella giovane di provincia tutto ciò che lei avrebbe (forse) voluto essere e e prende a pretesto la necessità di vendicarsi del padre Micha per umiliare e annientare Gertrude che per lei ormai rappresenta una sorta di specchio. Wilse Dilling è diviso tra queste due donne: una che gli dà ordini da eseguire, che sfrutta la sua malattia e la utilizza per i suoi traffici loschi, l’atra che si prende cura di lui , che lo invita e leggere la Bibbia e che cerca (senza sapere nulla del passato di Dilling) di redimerlo e di “purificarlo”. Quando Micha riceve la telefonata minacciosa di Ann Cardington, la didascalia recita proprio così: Queen Ann aveva il braccio lungo. Crudele e senza scrupoli, non rispettava nessuno e Wilse Dilling si trovava diviso tra la donna che amava e la donna che temeva.

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La scelta per Wilse, è dunque inevitabile. Nel film molti sono gli elementi che rimandano agli opposti e alla presenza di due possibilità: le due donne, le due porte all’interno della banca, il rapporto tra città e campagna, il connubio tra peccato e grazia. Il Male e il Bene sono dunque due categorie astratta che in The Shock prendono forma attraverso gli opposti. E se la descrizione di San Francisco come città del crimine contrasta violentemente con quella di Fallbrook come paese della serenità, non è solo il rapporto tra metropoli e campagna (che qui anticipa di circa cinque anni le tesi di Sunrise (Aurora, 1927) di Friedrich W. Murnau) nelle sue modalità sociali ad emergere, bensì una stridente quanto ricercata rappresentazione scenografica degli ambienti. San Francisco viene mostrata sin dalle inquadrature iniziali (e per tutto il resto del film) come una città notturna, insicura, popolata di strani individui, divisa tra l’oscurità degli esterni e la claustrofobia degli interni stretta in una alternanza di campi medi e totali finalizzati ad evidenziare rapporti loschi tra gli individui, trame segrete e misteriose e a mettere in mostra passaggi segreti e presenze occulte; Fallbrook, vice versa viene introdotta attraverso una serie di campi lunghi ariosi e soleggiati, immersa in una natura lussureggiante, ricca di fiori e mostrata come un ambiente sereno e tranquillo in cui è facile trovare la felicità; solo nel momento in cui Ann telefona a Micha cambia la prospettiva, nel momento in cui, cioè, la città “disturba” la quiete della provincia e la “profana” con i sui caratteri: minaccia, notte, morte e distruzione.

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Lambert Hillyer esagera nel rappresentare il contrasto ambientale, non riuscendo a trovare il giusto equilibrio rappresentativo ma volendo a tutti i costi mettere in risalto la bellezza e i valori della provincia come strumento di redenzione per Wilse Dilling; scelte che rendono tutta la parte centrale del film, quella del rapporto tra Wilse e Gertrude, particolarmente irrisolta e stucchevole. L’accento melodrammatico nuoce alla tensione di The Shock, e i richiami alla bellezza della natura e alla dolcezza della donna inerenti al “cambiamento” di Wilse (come nella scena in cui lo vediamo annusare dei fiori e giocare con un gattino), sono accompagnati da didascalie zuccherose e prevedibili come quella che accompagna l’arrivo di Dilling a Fallbrook: Arrivò in questa tranquilla città il pericoloso ed invalido criminale Wilse Dilling, e nelle settimane successive qualcosa cambiò in lui. Chiamatela la magia dei fiori, il profumo del sole…; spiegatela come volete, rimane il fatto che era diverso, la sua vita di malvivente a Chinatown sembrava molto lontana.

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Fortunatamente a questa dose di melassa si antepone la maschera facciale di Lon Chaney, che in più di una occasione riesce a rappresentare con i soli tratti del volto lo stato d’animo del personaggio. Emblematica è la scena in cui egli, recandosi da Gertrude per restituire la Bibbia, scopre il suo fidanzamento con Jack Cooper. Il volto di Wilse, mostrato in primo piano, lentamente, quasi impercettibilmente, invecchia di colpo: dai tratti rilassati e sorridenti del momento dell’arrivo, si passa a quelli dolorosi e sofferenti del momento della scoperta. La maschera del volto dell’attore, in pochi secondi, subisce una autentica mutazione in cui si avverte tutto il peso della delusione e in cui non solo le stampelle sembrano non più reggerlo, ma si ha la sensazione che tutto il suo corpo sia soverchiato da un peso insostenibile, il tutto reso attraverso una vera e propria metamorfosi somatica dei tratti del viso. Il montaggio alternato che mostra da una parte Gertrude e Jack diretti verso la banca di Micha Hadley e dall’altra quello che sembra essere Wilse (in realtà Micha travestito da Wilse e mostrato solo attraverso i dettagli del cappello e delle mani), funge da preambolo alla tragedia. L’esplosione coinvolge Gertrude che rimane sepolta sotto le macerie e che resta paralizzata (il dottore rivolto a Wilse, in attesa di notizie fuori di casa Hadley, gli dice: “Resterà come lei per il resto della sua vita”), ma è anche il momento in cui Cooper rivela tutta la sua pavidità e il suo opportunismo, spalleggiato dal padre che gli intima: “Le cose non stanno come pensavamo…dobbiamo interrompere il fidanzamento”.Anche in questo caso il primo piano sul volto di Dilling dopo aver avuto dal dottore le notizie sulla condizione di Gertrude, mostra la trasfigurazione somatica del dolore e mette in risalto tutta la maestria mimico-espressiva di Lon Chaney.

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Il finale, efficacemente spettacolare, presenta la ricostruzione del terremoto che colpisce San Francisco alle 05.12 del 18 aprile del 1906 con una magnitudo dell’ 8.3 della scala Richter e con epicentro sulla costa di Daly City a sud-est della città provocando ufficialmente oltre cinquecento morti (in realtà l’evento fu sottostimato e non vennero conteggiate le vittime del popolatissimo quartiere cinese). Gli ultimi cinque minuti di The Shock mostrano proprio il campo lunghissimo del quartiere di Chinatown che si sgretola: alternando esterni ed interni, campi medi e dettagli, pellicola tremolante e rudimentali (ma incisivi) effetti speciali, modellini e sovraimpressioni, Lambert Hillyer traduce pienamente il senso della tragedia naturale e associa l’evento ad una punizione divina per i peccati della città. Il terremoto si scatena mentre Wilse Dilling ferito e strisciante supplica Ann Cardington di risparmiare Gertrude e la didascalia che accompagna l’inizio della catastrofe recita così: In quel momento come in risposta alla sua preghiera, la Provvidenza agisce…

 di Fabrizio Fogliato

THE SHOCK
Anno: 1923
Regia: Lambert Hillyer
Sceneggiatura: Charles Kenyon e Arthur Slatter da “Pit of the Golden Dragon” di William Dudley Pelley
Fotografia: Dwight Warren
Interpreti: Lon Chaney (Wilse Dilling), Virginia Valli (Gertrude Hadley), Jack Mower (Jack Cooper), Christine Mayo (Ann Cardington, “Queen Anne”), William Welsh (Micha Hadley), Henry A. Barrows (John Cooper, Sr.), Harry De Vere (Olaf Wismer), John Beck ( Bill), Walter Long (The Captain), Bob Kortman (Henchman)

 

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