Estratto dal libro sul film IL BOOM (1963) di Vittorio De Sica

l film di De Sica, scritto da Cesare Zavattini, deriva da un soggetto del 1957 che lo sceneggiatore ha ricavato dopo aver letto su un giornale di un uomo che voleva vendere uno dei suoi occhi per quattordici milioni. L’episodio, diventa, nella fervida mente dello sceneggiatore, la grottesca e degna soluzione per i mali dell’italiano-medio ormai non più il disoccupato senza tetto e baraccato del dopoguerra, ma l’arrampicatore sociale figlio deforme del boom economico che pensa solo a guadagnare per adeguare il suo standard di vita alla condizione economica che si è imposto. L’aspetto più curioso del film è rappresentato dall’impostazione della scrittura e dal punto di vista con cui viene raccontata la vicenda di Giovanni Alberti: quello della donna, qui rappresentata dalla moglie Silvia (Gianna Maria Canale), la quale, indirettamente diventa il motore del racconto, poiché il suo stile di vita dipende dalle entrate del marito il quale, oltre a fornirle gli “oggetti necessari” al suo benessere, vive la sua condizione matrimoniale come sospesa in una dimensione onirica divisa a metà tra il pragmatismo della realtà (anche quella erotica) e l’incubo del desiderio (anche quello sessuale).

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[…] Alberti è come un bambino a cui ad un certo punto hanno rotto il giocattolo e cerca in tutti i modi qualcuno che glielo ripari anche a costo di pagare “un occhio della testa”. Un giocattolo alimentato dai desideri della moglie, dalla necessità di abbracciare il successo a tutti i costi, dal peso del giudizio degli altri (familiari e non) che su di lui grava come un macigno perché da esso dipende il fatto che in un istante egli possa passare da una vita di benessere alla miseria e all’accattonaggio. Il suo agire è in funzione degli stereotipi sociali e intravede nell’impresa di proprietà, la “Spa”, il traguardo di una vita (“Albertimpresa, tutta una parola”, spiega, orgoglioso, agli amici sulla terrazza nel mostrare la carta intestata). Non importa che questo traguardo sia raggiunto con la vendita di una parte di sé, un occhio che per la psicanalisi è per traslato l’organo sessuale mentre per i surrealisti è l’elemento per vedere diversamente, perché ciò che conta, agli occhi di regista e sceneggiatore, è dimostrare attraverso l’apologo de Il boom, come la persuasione occulta, sotterranea e subliminale, operata dalla vulgata della “società dei consumi” disorienti il cittadino medio fino a costringerlo in una trappola da cui non può più uscire (ma che lui ha contribuito a costruire). […]

Fabrizio Fogliato

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