La ritualità dell’omicidio e l’anatomia di un serial-killer

Rampage è il film dimenticato di William Friedkin. La scarsa circolazione e le vicende produttive legate alla sua realizzazione, hanno contribuito sia a diminuirne l’impatto critico che a renderlo un oggetto misconosciuto e tutt’oggi (quasi) invisibile. Nel 1986, il regista di Chicago sta lavorando alla stesura di un copione per un film per la televisione via cavo quando, si imbatte in un romanzo che suscita il suo improvviso interesse. William P. Wood, autore del libro in questione è stato procuratore distrettuale nella città di Sacramento, dove si è specializzato nella risoluzione di casi di omicidio plurimo. Nel suo libro, l’autore, traccia sotto forma di resoconto cronachistico (seppur con ampie immissioni di fiction) le vicende di un serial killer che agisce nella cittadina Californiana sul finire degli anni ’70.

Tratto dal Romanzo di William P. Wood e scritto dallo stesso Friedkin, Rampage è ispirato alle vicende del pluriomicida Richard Trenton Chase un serial killer, che tra il 1977 e il 1978 uccide sei persone ed è conosciuto come “il vampiro di Sacramento”: beve il sangue delle sue vittime, agisce in maniera casuale, privo di qualunque logica e senza alcuna pianificazione: per puro istinto furioso (da qui il titolo del film) e in modo  disorganizzato. I suoi delitti avvengono con “naturalezza” e l’uomo, con noncuranza, lascia in giro tracce e indizi sulla scena del crimine. Uccide alla luce del sole (come Friedkin ben sottolinea immergendo il suo film in una luce abbagliante, circoscrivendo il buio alle austere stanze del tribunale) e seguendo la tradizione vampiresca, teme di finire disintegrato se rimane troppo a lungo senza nutrirsi di sangue fresco. “Come selezionavi le tue vittime?” “Percorrevo in lungo e in largo le strade, fermandomi di tanto in tanto ad analizzare le porte. Se la porta era chiusa voleva dire che non ero il benvenuto.” (Tratto dall’interrogatorio dell’agente Ressler a Richard Trenton Chase in occhirossi.it).

L’inizio del film condensa in una sola immagine la casualità delle dichiarazioni di Chase: una lunga panoramica aerea lentamente scende su una strada immersa e “nascosta” tra campi coltivati, fino a mostrare la figura indefinita di un uomo che cammina; lo stacco successivo è un totale dall’alto che mostra Charles Reece, il serial killer del film, osservare da lontano le sue vittime, prima di avvicinarsi ad una porta chiusa con addobbi natalizi, suonare e attendere che gli venga aperto.  Rampage, al momento dell’uscita, rimane imbrigliato nelle vicende legali legate al fallimento della De Laurentis Entartainment Group, che lo ha prodotto e a causa di questo motivo, in America non viene distribuito mentre in Europa dopo aver circolato all’interno di alcuni festival, esce direttamente sul mercato home video (in Italia in poche copie per Penta Film).

Stockton, California, sotto Natale. Charles Reece (Alex MacArthur) entra in una casa, e senza proferire parola uccide tre persone, le smembra, ne asporta alcuni organi che porta via con sé dentro sacchi della spazzatura. Alla funzione della vigilia di natale, partecipa anche un giovane procuratore distrettuale di nome Anthony Fraser (Micheal Biehn), a cui poco dopo viene assegnato il caso riguardante i pluriomicidi di Reece. Una volta catturato il serial killer, comincia la lunga fase processuale in cui da parte dell’accusa e della difesa vengono messi in campo tutti gli elementi e i testimoni per da un lato condannare a morte Reece perchè è in grado di intendere e di volere e dall’altro salvargli la vita perchè infermo di mente…

Nel film viene raccontato il controverso rapporto che Reece ha con i genitori, in particolar modo quello con la madre, che richiama direttamente il comportamento dei coniugi Chase narrato da Wood. Questi sono persone all’antica, convinte che la disciplina si imponga con le botte; il piccolo  Richard è spesso costretto ad osservare i loro violenti litigi, i quali finiscono sempre con la madre a terra, la bocca impastata di sangue e le ferite provocate da oggetti scagliatigli contro dal marito (proprio come viene raccontato nel film dalla madre di Reece). Willian Friedkin, che non è interessato a tracciare un “ritratto di serial killer”, giustamente omette lunghe parti del resoconto cronachistico di William P. Wood, tra cui quel passaggio che prelude all’omicidio di esseri umani passando prima per quelli animali.

La vicenda romanzesca scritta dall’ex-procuratore riporta che nel 1977 uno psichiatra diagnostica  Richard Trenton Chance come paranoide e schizofrenico, e l’uomo viene sottoposto ad una lunga serie di esami clinici prima di essere messo sotto osservazione per 72 ore e poi rilasciato dall’Ospedale. Dopo questo episodio, Richard  comincia a deperire, fino a scendere a 65kg di peso e mentre i genitori avviano le pratiche per il  divorzio, Chase si reca a vivere da solo, perché convinto di essere stato avvelenato dalla madre. Nella nuova abitazione, comincia ad acquistare e a rubare conigli, li porta a casa, li uccide e ne beve il sangue.  

William Friedkin, in Rampage, concentra la propria attenzione sul serial killer solo in alcuni significativi passaggi, tra cui quello della ritualità dell’omicidio e del successivo smembramento dei corpi, per evidenziare l’animalità ferale degli avvenimenti. Non a caso inserisce un paio di volte una scena al rallentatore in cui Charles Reece, si ricopre il corpo di sangue, mentre sullo sfondo, dietro una rete si agita una tigre. Da un lato l’immagine dell’uomo viene sovrapposta a quella della fiera (quasi come se volesse interrogare lo spettatore sulla natura dell’uomo), dall’altra richiama un fatto reale della vicenda de “il vampiro di Sacramento”. Il 3 Agosto del 1977, la polizia rinviene il Ford Ranchero di Chase nei pressi del Pyramid Lake in Nevada. Sui sedili, imbrattati di sangue, ci sono un paio di fucili e alcuni indumenti maschili. Avviate le ricerche gli agenti, quasi subito, trovano Richard Trenton Chase sdraiato sulla riva del lago, nudo e ricoperto di sangue.

La sovrapposizione tra la vicenda reale e quella di finzione si ritrova nuovamente durante l’arresto del serial killer, e soprattutto nella dinamica del ritrovamento del covo. In Rampage, Friedkin opta per una scena (alla Psycho), con tanto di lampada dondolante nella cantina che di volta in volta, con i suoi movimenti, illumina i dettagli rivelatori della personalità di Charles Reece: nell’ordine vengono mostrati, pezzi di cervello, l’immagine di Gesù Cristo, organi umani, cavie e conigli in gabbia, fotografie S&M, una bandiera nazista e fotografie di bambini. L’immaginario tortuoso e malsano del serial killer è lì di fronte agli occhi dello spettatore, mostrato nella sua freddezza senza commento e senza emozione. La realtà dell’ arresto de “il vampiro di sacramento” è più o meno la stessa del film: il 27 Gennaio 1978 degli agenti bussano insistentemente e a lungo alla porta di casa di Chase, non ricevendo risposta rimangono in attesa fino a quando l’uomo esce dalla porta, viene fermato, oppone una forte resistenza ma viene ammanettato. Subito dopo gli agenti entrano in casa per condurre l’ispezione e rimangono disgustati dall’odore di marcio e di decomposizione (lo stesso evocato dai detective del film al momento della discesa nello scantinato); entrati in cucina si trovano di fronte uno spettacolo inenarrabile in cui tutto è impregnato e macchiato di sangue.

William Friedkin segue in Rampage, dopo l’arresto, lo stesso percorso di Chase e inoltre il “suo” Reece  adduce, come movente, le stesse motivazioni dell’originale: Richard Trenton Chase dichiara che solo il sangue può salvarlo, e ammette anche di aver provato una brutta sensazione mentre uccideva le proprie vittime e di aver sofferto di insonnia a causa della convinzione che  esse potessero tornare dall’aldilà per ucciderlo (come nel film: “Ho provato uno stato di delirio”, risponde Reece alla domanda del Dott. Keldy). Il 2 gennaio 1979 si apre ufficialmente il processo a Richard Trenton Chase. Nonostante l’uomo sempre più deperito e malconcio (pesa ormai 48kg), dichiari di non essere stato cosciente durante gli omicidi, nulla può contro il preparatissimo avvocato dell’accusa ed i suoi 100 testimoni. L’8 Maggio del 1979, dopo cinque ore di deliberazione, la giuria dichiara l’imputato Richard Trenton Chase colpevole di sei omicidi di primo grado e per questo lo condanna alla morte. Il 26 dicembre del 1980, il giorno precedente al terzo anniversario del primo omicidio, alle 23.05, la guardia controlla nella cella di Richard Trenton Chase per la consueta ronda notturna e lo trova sdraiato sullo stomaco, con entrambe le gambe fuori dal letto e con i piedi poggiati sul pavimento. La testa è schiacciata contro il materasso e le braccia sono incrociate sul cuscino. “Il vampiro di Sacramento” è morto suicida. Chase doveva assumere tre pillole al giorno di Sinequan, per combattere la depressione e le allucinazioni. Evidentemente le ha tenute da parte per molto tempo e le ha ingerite tutte insieme, causando così la propria morte. Nonostante le sue preoccupazioni, durante l’autopsia è risultato essere perfettamente sano. (da occhirossi.it). William Friedkin, segue fedelmente l’epilogo giudiziario e clinico della vicenda, che oltretutto, gli serve come elemento cardine per impostare l’ambiguità corrosiva della sua messa in scena, ma opta per una lieve alterazione della diagnosi, quella secondo cui Charles Reece, dopo un ulteriore esame approfondito (il Pet-Scan), a seguito della condanna, viene trovato ammalato: il suo cervello presenta gravi anomalie patologiche.

Con Rampage, William Friedkin, costruisce un apologo sulla “trasparenza del Male”, anticipando di alcuni anni temi e passaggi del libro omonimo di Jean Baudrillard. Scrive, infatti, il filosofo: “L’abreazione, il rigetto, l’allergia sono una forma singolare di energia. Da questa energia viscerale che ha preso il posto della negatività e della ribellione critica nascono i fenomeni più originali del nostro tempo: le patologie virali, il terrorismo, la droga, la delinquenza, persino delle attività ritenute positive come il culto della performance..”. Nella figura di Charles Reece, convivono tutte queste cose. L’energia si è trasformata in furia tradotta in azioni violente e irrefrenabili, cieche nella loro disumanità (l’omicidio del prete). Il serial killer (almeno nella dimensione americana) è una sorta di patologia endemica alla società, un virus che viene alimentato dall’interno (la famiglia) pronto a colpire improvvisamente (l’istinto omicida in Rampage si manifesta nella quotidianità più ordinaria). Quelle di Reece, inoltre, sono vere e proprie performance rituali, in cui il sangue funge da elemento addittivo (ne ha bisogno) e taumaturgico (bevendolo pensa di guarire), mentre lo smembramento avviene sul e nel corpo, cioè nell’icona simbolo dell’edonismo imperante in quegli anni (il film è del 1987), e il corpo stesso di Reece subisce una mutazione, quando viene ricoperto con il sangue delle vittime. Rampage è dunque il film del regista di Chicago che indaga “la linea di confine tra Bene e Male” (ma non solo). La messa in scena è imperniata interamente sui concetti di separazione e ricomposizione, ma agisce totalmente sul limite che separa i due ambiti, con l’obiettivo di riproporre una glaciale visione dell’esistenza umana nello strenuo tentativo di dare risposta alla domanda di fondo: “La vita di un innocente vale di più di quella di un colpevole?”

di Fabrizio Fogliato

[continua]

La seconda parte la troverete, tra qualche giorno, su questo blog.

 

 

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  1. Pingback: WILLIAM FRIEDKIN’S SORCERER (IL SALARIO DELLA PAURA, 1977) | Fabrizio Fogliato | Critico cinematografico, saggista

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