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ENTER THE VOID (2009) di GASPAR NOÈ – DIRECTOR’S CUT – Parte Seconda

Il cinema di Gaspar Noé: atmosfere surreali e lisergiche, le coordinate Anémic Cinéma

Il punto di vista soggettivo che percorre tutto il film, è la rappresentazione filmica del flusso di coscienza: ecco perchè la soggettiva non è tale, perchè subendo un lieve spostamento che la rende una pseudo-soggettiva, lo sguardo sulla realtà del protagonista non collima con lo sguardo dello spettatore. Non si tratta dunque di un film in soggettiva che ammicca al modello (dichiarato dallo stesso Noè) di Lady in the Lake (1947) di Robert Montgomery, bensì di una operazione in cui lo spettatore vede di più (ma non necessariamente meglio) di Oscar. Nonostante il ricorso al facile espediente del battito delle ciglia aggiunto allo scorrere delle immagini per aumentare l’aderenza tra lo spettatore e il personaggio, il film non riesce mai (e questo è sicuramente il limite più grande del film) a rendere credibile l’artificio narrativo, perchè l’assenza di un controcampo (in presenza di una finta soggettiva) da una sensazione di indeterminatezza e di straniamento che mette a disagio. Quello che per tutti è un limite, paradossalmente, per Noè diventa la norma, perchè come nel caso di Irreversible, anche in Enter the Void, l’intento del regista nei confronti dello spettatore non è quello di catturarlo bensì di destabilizzarlo.

ENTER THE VOID (2009) di GASPAR NOÈ – DIRECTOR’S CUT – Parte Prima

Il cinema di Gaspar Noé : sondare l’indeterminatezza del visibile

Gaspar Noè, terminati gli studi, trova subito l’opportunità di girare due cortometraggi in bianco e nero: Tintarella di luna nel 1985 e Pulp amère nel 1987. Il primo è la semplice storia di un tradimento coniugale, mentre il secondo mostra un uomo che tenta di violentare sua moglie, dopo che ha sentito per radio che lo stupro può essere un atto di profondo amore: è qui, probabilmente, nasce la poetica del regista argentino. Nel 1991 Noè gira un mediometraggio di 40 min. intitolato Carne, prodotto con alcuni amici e con la collaborazione del filmaker Lucile Hadzihalilovic (autore, tra gli altri, di La Bouche de Jean-Pierre (1995), L’Ecole (2003)). Carne narra la vicenda di un macellaio di cavalli che vuole vendicarsi di un uomo, che crede, erroneamente, essere lo stupratore di sua figlia autistica. Carne, in cui l’effetto shock è costruito progressivamente attraverso l’uso di una colonna sonora marziale e con un montaggio rapido e nervoso, fin dai titoli di testa, (che in un montaggio alternato, pieno di humor nero, ci mostrano il macellaio che spacca la carne a colpi di mannaia e la ragazza autistica che guarda in televisione Blood Fest di Herschel Gordon Lewis), possiede già tutti i connotati teorici e filmici del cinema a venire di Noè, e che troveranno il loro compimento nel compiaciuto e provocatorio Irreversibile (2002).

LA HAINE (1995) di Mathieu Kassovitz

Quando il cinema anticipa la realtà.

Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene……………………

Mathieu Kassovitz è uno dei “misteri” cinematografici più interessanti del cinema di fine millennio. Passato da autore innovativo e geniale, nel giro di un paio di film, a mero artigiano esecutore tecnicamente ineccepibile di storie su commissione allineate alla più trita estetica narrativa mainstream. Osannato al Festival di Cannes del 1995 come il più interessante talento emergente del cinema francese e deriso, neanche due anni dopo per il successivo Assassin(s). Dai “fasti” della Francia al mercato di Hollywood in seguito al successo clamoroso de Le Riviéress pourpres (I fiumi di porpora, 2000), per scomparire o quasi nell’anonimato odierno. Eppure a ben vedere, il cinema di Kassovitz è sempre stato lo stesso. La sua forza, e il suo maggior pregio è sempre stata quella di riuscire ad apparire d’autore pur essendo mainstream. L’ “abbaglio” critico de La Haine è dovuto esclusivamente al fatto che il tema al centro del film era (ed è) di scottante e urgente attualità e la pellicola-guerriglia, girata dall’interno (con tanto di comparsate del regista stesso con la macchina in spalla durante lo svolgersi del film) risulta un pugno nello stomaco talmente forte da far chiudere gli occhi. Pellicola rabbiosa, “sporca”, urbana, e surreale che nasce dalla rabbia e dall’indignazione dello stesso regista per un fatto di cronaca avvenuto un paio di anni prima, e nel film, opportunamente, ribaltato di senso e significato.