Il carnevale infinito della società liberata

 

Il cinema di Alex De Renzy è un inno alla libertà. Il regista della west-coast costruisce film dopo film un mondo irreale, onirico, fantasmagorico, in cui tutto è possibile e in cui anche i lati più biechi e oscuri della natura umana diventano accettabili e giustificati. Definito a suo tempo dal New York Times come “Il Cecille B. De Mille dell’hardcore”, il regista di San Francisco, sin dal suo esordio affronta il lato perverso e “contronatura” della sessualità: in Animal Lover (id., 1971) attraverso uno pseudo-documentario delirante e irriverente cerca di dare spiegazione logica e “naturale” alla zoofilia, mentre il film che chiude il suo periodo più artistico e fecondo Long Jeanne Silver (id., 1977) ha come protagonista una bionda con una gamba amputata che usa il moncherino per regalare piacere sessuale ai suoi partners. Alex De Renzy, è un ottimo regista uno dei pochi nel genere in grado di sostenere con successo anche la regia di film “normali” (e non è casuale che nei suoi film l’hard abbia, in proporzione, sempre uno spazio ridotto rispetto alla narrazione), e uno dei pochi ad ottenere una recitazione misurata e credibile dai suoi performers. Aspetti questi che elevano il suo cinema, la cui cifra stilistica è quella del bizzarro spesa all’interno di una idea di società impossibile ma che prende forma e consistenza proprio grazie a quella “macchina dei sogni” che è il cinema. Nel suo cinema è negato il lato oscuro e problematico del sesso (in questo è l’esatto contraltare di Gerard Damiano), ma è presente solo una visione libertaria, ridanciana e carnevalesca dell’accoppiamento corporeo in ogni forma e declinazione indipendentemente dal genere e dalla quantità, e ogni violazione di questa regola deve essere sanzionata. Nel programmatico Femmes de Sade, le violenze perpetrate dal villain di turno vengono irrimediabilmente punite dalla società stessa in cui egli si è introdotto come un corpo estraneo violandone le regole e profanandone la “sacra” libertà, mediante un rito/orgia collettivo che si conclude con deiezioni di gruppo sul corpo del malcapitato lasciato a terra esanime e ricoperto di escrementi mentre una società colorata, multiforme e godereccia si allontana da lui facendo il trenino e cantando beffardamente “Bye Bye Rocky”.

Rocky De Sade (Ken Turner) è un ex galeotto che, appena uscito dal carcere di San Quintino si fa dare un passaggio dal suo compagno di cella, e successivamente dopo averlo malmenato ne violenta la fidanzata. Giunto a San Francisco adesca un paio di prostitute e dopo averle brutalizzate e seviziate le abbandona ancora sofferenti. Nella città della west-coast incontra il proprietario di un sexy shop (John Leslie), un uomo che sogna ad occhi aperti e che ha visioni sessuali su ogni donna che gli passa davanti agli occhi, da cui viene a conoscenza di una festa orgiastica che si terrà in una villa della periferia cittadina. De Sade si reca alla festa e assiste ad un gioco di società in cui tutto è permesso e in cui piacere e dolore si coniugano in una risata sguaiata e in un divertissement per adulti. Ignaro della trappola che gli è stata tesa, proprio durante la festa, l’uomo troverà la sua nemesi.

Femmes De Sade è diviso tra realtà e sogno, costruito su una ambiguità polivalente in cui il desiderio e la sua manifestazione metaforica si svincolano dal soffocamento della prigionia e si trasfigurano nella figura espressionista di Rocky: un gigante mostruoso e sgradevole, incarnazione dell’oscuro, del deforme e dell’ “altro”. Un elemento estraneo, che negli abiti del galeotto si manifesta in tutta la sua mostruosità sin da subito garantendo al film una spiazzante componente freak in grado di turbare e inquietare: lo vediamo urinare in primo piano, usare ogni genere di violenza, praticarsi una contorsionistica fellatio (sorprendendo la stessa prostituta), sudare copiosamente e le sue mani sono sporche come le sue unghie (dettagli che De Renzy sottolinea più volte); la sua dialettica è sguaiata e volgare, la sua sessualità deviata e deforme, e durante gli amplessi si produce in sproloqui razzisti e denigratori nei confronti della vittima di turno, il tutto attraverso la recitazione curata e minuziosa di Ken Turner che conferisce al suo personaggio una autentica e realistica carica disturbante. Rocky De Sade sembra assumere via via i caratteri metaforici della perversione, al contempo respinta e desiderata, da chi si trova ad aver a che fare con lui. E’ interessante notare come durante l’aggressione nel capanno ai danni di Joey e Alice, lo svolgersi della vicenda venga trattato da De Renzy attraverso un inconsueto (per il porno) montaggio alternato in cui l’amplesso sessuale tra i due giovani è più volte interrotto per mostrare le azioni di Rocky, fino al momento in cui, questi, dopo essere penetrato nell’abitazione, colpito brutalmente Joey prima di scaraventarlo giù dalla scarpata, obbliga Alice ad un rapporto anale; a questo punto la donna per salvaguardare l’incolumità del suo compagno, stranamente, invita Rocky a sodomizzarla: “Lascialo stare, non fargli del male..scopami, scopami pure”, e De Renzy mostra tutto l’amplesso attraverso inquadrature dall’alto in cui emerge prepotentemente la figura dominante del gigante che pone le sue vittime in una condizione di sottomissione. Alla luce dei contenuti successivi del film, questo punto di vista del regista diventa metafora di ogni repressione e di ogni costrizione forzata in merito alla materia sessuale: Rocky incarna il lato patologico della sessualità che secondo il regista è legato alla sua non-liberazione. Non è casuale infatti che De Sade esca del carcere, che le inquadrature iniziali del film siano mostrate tutte con riprese dei personaggi osservati a distanza e da dietro le sbarre, che egli vaghi per San Francisco quasi come un “fantasma” e si nasconda, per compiere le sue nefandezze, in anonime e squallide stanze d’albergo mentre tutti gli altri protagonisti vivono una sessualità libera, aperta e alla luce del sole.

La città di San Francisco è mostrata con taglio semi-documentaristico, tra realismo e situazioni ironiche, come quella che vede per protagonisti due giovani mentree visionano una rivista hard nel negozio di Johnny, e l’uomo rivolto alla compagna le chiede: “Tu potresti fare questo?”, e la donna ammiccante replica: “Se per te va bene perchè no?”; o come quando il rivenditore di riviste di sesso-clinico interroga lo stesso Johnny chiedendogli. “Guardati un po’ in giro. Qui, nel tuo negozio, non è già pieno di fantasmi?”. E i fantasmi sono gli stessi visti e immaginati da Johnny, perfetto contraltare di Rocky: un giovane di bell’aspetto, ossessionato dal sesso in una dimensione goliardica e onirica come dimostrano le innumerevoli visioni che lo vedono protagonista e che offrono al regista l’opportunità di dimostrare tutta la sua maestria e visionarietà. Scenette quelle immaginate da Johnny caratterizzate da una spiccata cifra parodistica e al contempo percorse da elementi incongrui e destabilizzanti come dimostra quella in cui immagina di essere il ginecologo di una cliente presente nel suo negozio e una volta sfilatole le mutandine se le sistema con gusto nel taschino del camice come una pochette; o ancora quando, successivamente, dopo la visita si produce nella penetrazione della paziente e il sudore provocato dall’amplesso è asciugato con un tampone dalla sua solerte infermiera.

Il vero “capolavoro” erotico di Alex De Renzy in Femmes De Sade, oltre all’orgia finale, è rappresentato dalla visione di Johnny all’interno della fabbrica, in cui una giovane cameriera si produce in un amplesso multiplo con tre operai: qui, oltre ai numerosi richiami fallici (c’è persino un operaio che lucidando una maniglia mima una masturbazione), l’amplesso è ritmato sui rumori dei pistoni che provengono dalle macchine utensili, i suoni del lavoro diventano suoni sessuali, e l’olio e i vapori utilizzati per raffreddare le macchine elementi erotici che cospargono i corpi nudi e alimentano l’orgasmo. Senza utilizzare parole, coreografando l’amplesso come un numero di musical Alex De Renzy si prende beffa della “sinfonia delle macchine” di Metropolis e offre la sua visione del cinema: un carrozzone gioioso e disinibito, in cui i richiami più urgenti e colti provengono dall’estetica del cinema muto, pronti per essere dissezionati e derisi dalla sapiente mano del regista della west-coast. Anche l’ultima visione di Johnny, quella con le due donne donne giapponesi si rifà al cinema muto, in particolare a quello di Ozu, e con irriverenza e sberleffo si prende gioco delle ritualità del sol levante e le traduce in una parodia volgare e ridicola in cui emergono i baffi finti di Johnny e la masturbazione con la spazzola di una delle due geishe mentre l’altra è intenta ad accoppiarsi con l’uomo, il tutto immerso in un paesaggio bucolico e fiabesco.

L’orgia finale di mezz’ora che chiude il film che prelude e fa da scenario alla nemesi di Rocky De Sade, è testimonianza diretta del soprannome del regista, poichè nella sua bellezza estetica e nella sua coreografia multiforme non ha nulla da invidiare ai colossal di Cecil B. De Mille. In un carnevale di colori e corpi di ogni razza e nazionalità si susseguono le immagini di accoppiamenti tra odalische, sceicchi, principesse e reali, servitori e giullari, finti motociclisti e danzatrici del ventre, uomini e donne mascherati da animali e animali veri (il levriero che “intrattiene” le tre donne sul biliardo); torture medioevali sono virate sul lato comico, il fuoco è elemento di seduzione e il suo contatto (discutibile) forma di piacere il sado-masochismo è ridotto a gioco di società (emblematica la donna legata e appesa a testa in giù all’ingresso della villa che accoglie gli invitati facendosi sculacciare e ringraziandoli soddisfatta), e ogni perversione acettata come forma di comunicazione sessuale. Le scene all’interno della villa non hanno nulla di inquietante né tanto meno di malsano, ma raccontano di una società libera e assolutizzata in cui il sesso è diventato forma primordiale di divertimento e in cui i movimenti degli amplessi riproducono le forme di un musical erotico e disinibito. L’accompagnamento musicale a base di soul e jazz, la presenza di ballerini e del pianista, i colori e le forme richiamano alla messa in scena tanto delle commedie demilliane, quanto ai numeri dei musical di Busby Berkley. Persino il finale con le deiezioni di gruppo sul corpo di Rocky De Sade (opportunamente travestito da boja), appartiene ad una visione scalcinata e ridanciana della pena del contrappasso. In Femmes De Sade, insomma, prevale il “gioco di società” del sesso, e anzi l’intenzione di De Renzy è quella di mostrare una società che illusoriamente crede di essere diventata essa stessa un gioco, come dimostra il fatto che una volta terminata la rappresentazione della punizione di Rocky, ognuno si allontana ed esce del campo scomparendo come un “fantasma” nel nero del non-visto e del non-visibile.

di Fabrizio Fogliato

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