Stay away from me

 

Forced Entry è costruito come un lungo flash-back (il film si apre con i rilievi sul cadavere suicida di Joe) nella mente di un reduce: il frammento dell’ “Hudson Dispatch” che compare prima dei titoli di testa racconta i sintomi delle disfunzioni psichiche dei veterani, mentre la scritta che segue, riporta la dichiarazione del Dott. Robert Lifton, psichiatra dell’ US Army in merito alla condizione psico-esistenziale con cui essi rientrano nella società: “Questo è ciò che i veterani riportano a casa: una combinazione di paura, confusione, rabbia e frustrazione, che li porta ad un disperato desiderio di ricrearsi un nemico”. In Forced Entry, il nemico è la donna (e la sua presunta libertà), corpo da “profanare” prima, per scaricare la rabbia repressa, e da annientare poi con la morte, per ritrovare il sollievo e la tranquillità perdute A tal proposito è interessante rilevare come lo sproloquio, ripetuto più volte da Joe durante gli stupri, pronunciato mentre egli sottomette la donna-nemico, ricalchi nei termini le frustrazioni e le mancanze riportate nella sintesi dell’anomia del reduce redatta dal Dott. Lifton; Joe, mentre continuamente chiede alla donna di essere felice per ciò che sta facendo e di farlo bene (fellatio e amplesso), aggiunge anche queste parole: “Tu devi farmi felice signora; tu non sai cosa ho passato. Voi con le vostre grandi macchine, le vostre grandi case, tutto per sentirsi, bene non è vero? Tu non sai cosa vuol dire tornare dal Vietnam signora, ma tu adesso puoi farmi del bene…”. Costello sembra quasi suggerire che per il reduce la vera guerra non è al fronte o in prima linea, ma è nel ritorno in una società apatica e indifferente, nell’umiliazione di capire di non contare più nulla, nella consapevolezza che il grado maturato sul campo, una volta tornato civile, non ti garantisce alcun benessere.

La seconda macro-sequenza è quella che meglio rappresenta il sottotesto critico di Forced Entry. La scena si apre con un vero e proprio agguato (sotto la doccia) e con il prelevamento violento della vittima, che nuda e bagnata viene gettata sul letto, e prosegue seguendo le coordinate di un esecuzione capitale: la prigionia, il viaggio verso il patibolo e l’esecuzione. Shaun Costello racconta: “La seconda scena è stata girata a Forrest Hills nel Queens. Lo stupro e l’omicidio di Laura Cannon hanno un taglio veramente realistico. La prima idea era quella di farle cantare, mentre è sotto la doccia, “Some day my prince will come”. Poi ho invece ho pensato un’altra cosa e ho chiesto a Laura di immaginare una terza presenza misteriosa, quella di Dio. E’ per questo che invece di dire “Please don’t kill me”, ella dice “Please don’t let him kill me”, come ad invocare Dio per la sua sopravvivenza”. (ibidem, trad. F. Fogliato). Tutto il rapporto sessuale è ripreso mentre la donna è sotto costante minaccia delle armi: il suo volto rigato dalle lacrime, il suo respiro strozzato, il tremore delle mani e il crollo fisico del suo corpo sottomesso, sono i dettagli della riproduzione di una violenza inaudita mostrata allo spettatore attraverso un realismo crudele, cinico e terminale (merito anche della performance di Laura Cannon).

L’incedere del rapporto sessuale “da dietro” procede a ritmo serrato, scandito dai dettagli “luridi” delle mani sporche e del ghigno di Joe, in alternanza con le immagini di guerra e quelle dei corpi scarnificati dal napalm fino al momento dell’orgasmo, in cui l’eiaculazione di Joe viene associata in montaggio analogico, alle immagini di un’incursione aerea e al successivo bombardamento. Sul campo, in entrambi i casi, rimangono solo le vittime, e pertanto Joe procede all’esecuzione a sangue freddo della donna: nelle riprese di Shaun Costello non c’è enfasi, solo una asettica, e terribilmente reale, freddezza. Dati i presupposti, è inevitabile, quindi, che la fine della parabola criminale di Joe, coincida con il suo auto-annullamento: quando le due hyppies lo ridicolizzano e si fanno beffa delle sue minacce armate, l’uomo/soldato non esercita più alcuna paura; il nemico non c’è più, perchè al suo posto ci sono solo fantasmi di donne e vittime disponibili e vogliose, che con i loro seni “giganteschi” e pubi “voraci”, letteralmente, lo schiacciano al suolo: prima di spararsi in testa c’è il tempo solo per un urlo disperato, ripetuto fino alla nausea: “Stay away from me!”.

Forced Entry è pregno e saturo di una straniante (per un porno) atmosfera disturbante ottenuta soprattutto grazie alla combinazione fra tematica scabrosa (sesso esplicito) ed un montaggio serrato e sincopato, volto a mostrare l’inferno di ricordi che brucia nella testa di Joe, unito ad un utilizzo efficace della luce naturale, sovraesposta e desaturata, che rende realistica la rappresentazione della metropoli-giungla. La stessa regia di Shaun Costello, è improntata al deforme, attraverso vertiginose inquadrature dal basso (tese ad aumentare il senso di dominio del maschio), e “improbabili” tagli per mostrare gli atti sessuali, che conferiscono alle scene hard un senso di allucinazione e perversione immanente e persistente. Costello preme sul pedale delle ossessioni del protagonista, mostrandoci un uomo laido e “mostruoso” che vive in un un mondo fatto di sesso e sporcizia quasi tangibile, raccontato attraverso immagini verosimili di agghiacciante disordine psichico. Questo ultimo aspetto è esplicitato al meglio dalla rappresentazione del protagonista (Harry Reems irriconoscibile senza i baffi) mostrata attraverso i dettagli della sua figura: maglietta sporca di grasso, la barba incolta, i capelli sporchi e appiccicosi, le unghie ricoperte di sporcizia, il sudore rappreso sulla pelle.

Alcune fonti, riportano che nel 1975 venne realizzato un remake di Forced Entry, per la regia di Jim Sotos, nel cui cast figurano anche Nancy Allen e Tanya Roberts, incentrato sulle azioni di un uomo, titolare di una officina meccanica, che ha subito abusi sessuali durante l’infanzia e di cui la madre era a conoscenza (il Vietnam non c’entra più), che violenta e uccide le donne; il film di Sotos è totalmente privo del contesto pornografico, orientato alla rappresentazione di un thriller violento ma convenzionale.

di Fabrizio Fogliato

 

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