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LA PROPRIETA’ NON E’ PIU’ UN FURTO (1973) di Elio Petri

Un padrone, un popolo… il denaro

 

Diretto da Elio Petri nel 1973, La proprietà non è più un furto è l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al potere. Questo film arriva dopo l’analisi del potere istituzionale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e dopo quella del potere padronale di La classe operaia va in paradiso. Alla sua uscita, l’ultimo capitolo della trilogia di Petri venne aspramente criticato dalla sinistra dell’epoca e (cosa che fece più male al regista), letteralmente massacrato dai propri colleghi. Se apparentemente il film sembra meno riuscito dei due precedenti (e in effetti lo è), in realtà si tratta di un’opera profetica in grado di delineare, seppur in maniera confusa e approssimativa, le dinamiche socio-economiche di un’Italia proiettata nei rampanti anni ’80. Volutamente sgradevole e volgare La proprietà non è più un furto rappresenta lo specchio incrinato di una società traumatizzata dall’improvvisa mancanza di benessere, alla disperata ricerca di quel “boom” che pochi anni prima ha fatto dell’Italia uno dei paesi più industrializzati d’Europa.

Il giovane ragionier Total (Flavio Bucci), allergico al denaro altrui fino a violente forme di irritazione cutanea, decide di abbandonare il posto in banca per dedicarsi interamente alla persecuzione di un ricco macellaio romano (Ugo Tognazzi). Marxista-mandrakista, come si definisce all’ombra di un manifesto di Mandrake il mago, il ragioniere non lesina dispetti per angosciare il macellaio: gli ruba il coltello, il cappello, i gioielli dell’amante/proprietà Anita (Daria Nicolodi), finché si mette alla scuola di un ladro esperto detto “Alberatone” (Mario Scaccia), per diventare sempre più pericoloso. Ma Total è destinato a scoprire che i furtarelli non scuotono la fiduciosa tracotanza di un capitalista, anzi l’attività dei ladri non è altro che una modesta caricatura della lotta di classe e si integra nel sistema. Cosi il ladro professionista muore in questura, mentre Total fa anche lui una brutta fine…

DELITTO AL CIRCOLO DEL TENNIS (1969) di Franco Rossetti

In ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri di Fabrizio Fogliato

Il film di Franco Rossetti, prende il titolo e l’ispirazione di base (nulla di più) dal racconto omonimo di Alberto Moravia scritto nel 1927. Narrazione breve e giovanile in cui si prende in considerazione il delitto gratuito come un rito d’élite. Una sorta di gioco perverso e casuale in cui la vittima di turno è una poveraccia divenuta zimbello e oggetto nella mani di un gruppo di borghesi annoiati e in cerca di emozioni forti. Il Delitto al circolo del tennis di celluloide, invece, non mette al centro nemmeno il delitto ma solo la sua rappresentazione (seppur gratuita) utilizzata, apparentemente, come arma di lotta di classe – in realtà come strumento di vendetta personale e familiare all’interno di un conflitto irrisolto tra padre e figlia.