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WILLIAM FRIEDKIN’S SORCERER (IL SALARIO DELLA PAURA, 1977)

Odissea infernale verso la morte

 

Lo schermo nero, poi una dissolvenza svela il volto di un demone scolpito nella pietra; improvvisamente dalla sinistra, il titolo del film entra come una lama: Sorcerer, ovvero Stregone. Il motivo, per cui il remake di Le salaire de la peur (Vite vendute, 1953) di Henri-Georges Clouzot, ha questo titolo, è da ricercare nel percorso artistico di William Friedkin. Il regista, quattro anni prima ha diretto The Exorcist (L’esorcista), e il tema della possessione continua  – in questo cult maledetto –  a contagiare i personaggi e la storia. Sorcerer è il delirio di onnipotenza di un autore giunto all’apice del suo successo, che crede di poter sfuggire alle regole e alle dinamiche di Hollywood lanciandosi in una produzione colossale girata lontano dagli studios, senza rinunciare al sottotesto d’autore, ma integrando la messa in scena con una potentissima metafora spettacolare. Lo stesso Friedkin dichiara: “Apocalypse now, Aguirre, Furore di Dio e il mio Il salario della paura sembrano in effetti aver sofferto dello stesso male. Sapete, la maggior parte dei registi ha un solo desiderio: quello di vivere sul filo del rasoio. Sapendo che un regista non ha sempre un controllo assoluto sulla propria creazione è evidente che egli ha forzatamente voglia di andare vicino al punto di rottura di una situazione data per provare al mondo di essere in grado di ritornare, all’ultimo minuto, padrone del suo destino”. (In Roy Menarini, William Friedkin, Il Castoro Cinema, pag. 56). Le difficoltà realizzative sono enormi: Universal e Paramount, sono al timone di una produzione da venti milioni di dollari, quasi interamente girata nella Repubblica Domenicana, con collaboratori che si ammalano di malaria, risse furibonde tra regista e attori sul set e in cui le scene più incredibili e difficoltose (come quella del ponte vengono girate più volte) tra intemperie e set distrutti dalle forze della natura. Per traslato, si potrebbe persino dire che il film stesso è posseduto da un demone, ma in realtà la “follia calcolata” di Friedkin, utilizza un viaggio verso la morte ribaltandolo di senso e trasformandolo in un viaggio iniziatico in cui il Male è sostituito al Bene e viceversa.

In uno sgangherato Stato dell’America Latina, nonostante la miseria che vi regna, la dittatura, il terrorismo politico, si rifugiano persone che per ragioni diverse in patria hanno conti aperti con la legge o con la criminalità organizzata. E’ il caso di Jackie Scanlon (Roy Scheider) che, unico superstite di un quartetto di rapinatori, è ricercato dalla mafia perché nel corso della rapina è stato ucciso un sacerdote, fratello di un boss. Victor Mason (Bruno Cremer), invece, è un banchiere parigino responsabile del fallimento della propria banca e causa del suicidio del fratello; Kassem (Amidou), invece, è fuggito da Israele dopo avere preso parte a un sanguinoso attentato a Gerusalemme. Angerman è un aguzzino nazista che verrà presto eliminato dall’ebreo Nilo (Francisco Rabal). Oltre che privi di denaro, i quattro (che nell’ordine si fanno chiamare: Juan Dominguez, Serrano, Martinez e Marquez) sono perseguitati dalla corrotta polizia del villaggio per via delle leggi di immigrazione. Disperati, i quattro accettano di trasportare su due autocarri antidiluviani delle casse di nitroglicerina, indispensabile per arrestare l’incendio di un pozzo petrolifero. Il “salario della paura” è di 8 mila pesos per ciascuno dei quattro (Marquez viene sostituito dal suo “giustiziere” Nilo). L’impresa è pazzesca, dovendosi percorrere 200 miglia di foresta su di una pista infame e con un carico in condizioni pessime. Serrano e Martinez finiscono in un burrone. Nilo muore per le ferite infertegli da guerriglieri. Juan Dominguez giunge alla meta e si assicura tutto il compenso ma nel villaggio sono giunti i killers che la mafia ha sguinzagliato per eliminarlo.

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DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST di Paul Schrader (2004) – Seconda parte

Io sono la perfezione!

 

Dominion: prequel to the exorcist è costruito attorno alla dicotomia tra alto e basso, e nel confronto opponente tra spiritualità e paganesimo: cristiani e turkana, chiesa e tempio, San Michele e il diavolo, il tutto sintetizzato nella statua anteposta alla chiesa in cui San Michele schiaccia un diavolo reale condannandolo all’inferno. Proprio l’ubicazione fisica della chiesa dissepolta, costruita su un tempio pagano, dedicato a un demone a cui venivano offerti sacrifici umani, proviene dal racconto dell’apocalisse di San Giovanni in cui si narra della battaglia degli angeli (anche illustrata negli affreschi e nei mosaici interni alla chiesa) e che costituisce, l’impalcatura religiosa del film, fissata nei due estremi opponenti entrambi di natura umana e “divina”, San Michele/Padre Merrin e Satana/Cheche. “Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo è satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra, e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”. (Ap. 12, 7-10). Il dualismo onnipresente nel film, si manifesta anche attraverso il rapporto tra Padre Francis e i Turkana. Quando, guidati da Chuma, l’esponente del Vaticano e Lankaster Merrin si dirigono verso il sito archeologico, essi assistono alla cattura di un animale necessario per un sacrificio. Interpellato da Padre Francis, Chuma afferma: “E’ un sacrificio, le persone lo fanno nella speranza che possa dare protezione. È una cosa necessaria”. (Il riferimento è all’imminente parto di Sebituana), ma Padre Francis ribatte: “La crudeltà non è una cosa necessaria”. Chuma stizzito chiede: “Pensi che siamo dei selvaggi?”, e il prete risponde: “Io credo che alcuni di voi sono brave persone…perse nella confusione”. Siamo nel 1947, ma le affermazioni di Padre Francis, per Schrader sono attuali tuttora. Il regista infatti, sembra voler denunciare l’ipocrisia e la monoliticità di un mondo cristiano incapace di comprendere le differenze.

DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST di Paul Schrader (2004) – Prima parte

Il Male dell’uomo

 

Dominion: prequel to the exorcist (2004) è il film “cancellato” di Paul Schrader. Il film che la Warner Bros ha voluto interamente rifatto da Renny Harlin, per aumentare il tasso orrorifico e splatter e per adeguarlo all’immaginario del pubblico: quello secondo cui la posseduta è donna, bestemmia, vomita verde e disarticola il proprio corpo. In principio, il copione è affidato a Paul Schrader, regista calvinista e di acuta sensibilità religiosa, che ha guidato il film per un terzo del tragitto, ereditandolo da John Frankenheimer, tragicamente scomparso. Dopo accese discussioni con la produzione, in merito ai contenuti e al montaggio, protrattesi per un anno, il cineasta viene sollevato dall’incarico, la sceneggiatura di William Wisher e Caleb Carr, riscritta da Alexi Hawley e la regia affidata a Renny Harlin (Cliffhanger, Driven…). Exorcist: the beginning (questo il titolo del film di Harlin) viene realizzato in tempi record, con gran parte della stessa troupe, tra cui il direttore della fotografia Vittorio Storaro e con il medesimo protagonista, Stellan Skarsgard. Il film di Harlin incontra uno scarso interesse sia di critica che di pubblico, così la Morgan Creek Production concede (nuovamente) circa $ 35.000 a Paul Schrader per terminare la sua versione e garantisce alla Warner Bros la possibilità di rilasciare la versione di Schrader con il titolo Dominion: Prequel to the exorcist. Quello di Schrader è (quasi) un film fantasma (in Italia non se ne ha traccia, né di uscita nei cinema né in home-video, la versione tedesca in dvd è l’unica disponibile, ad ora, sul mercato europeo), diventato tale a causa della regia di un autore che non ha né voluto, né saputo, piegarsi ad esigenze commerciali, ma che ha affrontato il tema della possessione da credente e calvinista (quale egli è), cogliendo l’opportunità per riflettere tanto sul “libero arbitrio”, quanto sull’ambivalenza “laica” della natura umana, continuando la sua ricerca nel solco degli autori che l’hanno preceduto (con esiti alterni) a dirigere gli episodi della saga demoniaco-filosofica.