Tag

Affliction

Browsing

PAUL SCHRADER’S “AFFLICTION” – (Parte Seconda)

Diario, ipotetico, della scomparsa di una cittadina di campagna

 

In Affliction, il paesaggio invernale, soffice e innevato diventa personaggio “terzo”, determinante nella narrazione secondo la lezione di Sjostrom prima e di Dreyer poi. Per Schrader è una sorta di contrltare del marciume e della cattiveria che abitano i cittadini di Lawford; ma non è solo così semplice, il paesaggio in Affliction agisce anche da interludio e da sincope. Lungo tutto lo svolgimento del film si notano una serie di campi lunghi fossilizzati, in cui la natura statica e inerte corrisponde alla catatonia dei personaggi e introduce, talvolta, impreviste svolte narrative. Anche i legami di sangue, scandiscono i tempi del film, soprattutto quello che lega da un lato Wade al padre Glen e dall’altro Wade e il fratello Rolf, per gran parte del film sorta di confessore telefonico del fratello maggiore, ma anche “anima dannata” incapace di accorgersi del male che perpetra con le sue parole perchè convinto presuntuosamente di essere esente dal contagio genetico. L’educazione, i suoi limiti, i suoi eccessi e le sue ambiguità è la cifra morale che permea il film e sono l’argomento cui è demandata la chiosa di Affliction, intesa quasi, come una sorta di monito “universale” per le generazioni a venire: “I fatti ormai li conoscono tutti: tutta Lawford, tutto il New Hampshire e un po’ di Massachusset. I fatti non costituiscono la storia. Le nostre storie, quella mia e di Wade, sono quelle dei ragazzi e degli uomini in migliaia di anni. Ragazzi che sono stati picchiati dai loro padri e la cui capacità di amare e di avere fiducia è stata distrutta quasi dalla nascita. Uomini, la cui unica speranza di comunicare con altri esseri umani era quella di rimanere in disparte, aspettando che la loro vita fosse finita. L’unico modo per non riuscire a distruggere i nostri figli e non terrorizzare le donne che hanno la sfortuna di amarci è quello di rifuggire la tradizione della violenza maschile, rifiutando la seduzione della vendetta…” Parole che chiudono un parabola morale in cui giustamente, il regista non condanna (ma nemmeno assolve) i suoi personaggi.

PAUL SCHRADER’S “AFFLICTION”- (Parte Prima)

Afflizione, la parabola dell’uomo qualunque… ovvero del dolore e delle pene…

 

Affliction, tra i film di Paul Schrader, è il più intimista. Una parabola religiosa che riflette sul limite che separa il Bene dal Male e su come questo si manifesti primariamente all’interno della famiglia. I personaggi del film sono di matrice letteraria, visto che provengono dal romanzo “Tormenta” di Russel Banks. Nel film non ci sono personaggi né positivi né negativi, ma solo persone profondamente umane con il loro bagaglio esistenziale di pregi e difetti e il loro dolore di vivere. Uomini e donne che abbracciano, loro malgrado, la Croce di Cristo, ne portano il peso per lunghi tratti della loro esistenza e l’abbandonano nel momento in cui esauriscono le forze per combattere. L’impostazione letteraria, permette al regista di costruire un intricato sviluppo di eventi, di cui è egli stesso a decidere quali portare a conclusione (e soluzione) e quali lasciare volutamente sospesi. Affliction, fa del dolore e dei sentimenti, il proprio perno, attorno a cui ruota, suo malgrado, un’umanità spaesata e avvilita, persa nella ricerca di una realizzazione esistenziale (pressochè impossibile) distaccata dalle proprie radici e dalle proprie tare ereditarie. Paul Schrader costruisce un film “statico”, un lungo susseguirsi di quadri che richiamano le stazioni della via crucis, alternati a campi lunghi di paesaggi innevati e spersonalizzati sullo sfondo di una cittadina del New Hampshire, che nel tempo diventerà un immenso complesso residenziale e commerciale. C’è la tentazione nel regista di dipingere (mai come in questo caso i pochi movimenti di macchina sembrano delle pennellate) il ritratto di una provincia morente e di celebrare uno degli ultimi atti della vita “di paese” attraverso la rappresentazione di un microcosmo variegato (apparentemente solidale), che progressivamente si rivela essere niente altro che un coacervo di vipere in cui rancori, invidie e suggestioni determinano caratteri e comportamenti.