Solo violando la norma si può esercitare la legge: Aldous Huxley per rileggere Sergio Martino

Con Morte sospetta di una minorenne (1975), Sergio Martino mette in atto alcune procedure studiate e sistematizzate da Aldous Huxley nel suo saggio L’arte di vedere, declinandone la forma patologica e distorcente. Anton Giulio Mancino – a proposito del film – sottolinea come “deformare le prospettive, specialmente nel poliziesco e nel giallo, vuol dire per il regista sottolineare l’enormità altrimenti inenarrabile delle circostanze evocate.”[1]

Nel film si mette in evidenza il rapporto tra complotto e crimine: modulato attraverso le dinamiche e i ruoli di dominio e subalternità che legano potere e finanza. In quest’ottica l’esempio è il modello di potere “diabolico” che ha come antagonista un poliziotto anomalo, Paolo Germi (Claudio Cassinelli) – perché sotto copertura con licenza di agire al limite e al di là delle norme di legge – definendo, così, un’istanza conoscitiva ambigua orientata ad evidenziare le incongruenze attraverso la deformazione dello sguardo che passa tra le lenti degli occhiali rotti: all’apparenza morale corrisponde un agire immorale.

Il regista – mettendo in atto uno sguardo moltiplicatore – porta a compimento un’indagine sull’immagine che, progressivamente, si traduce in indagine sulla Storia. La minaccia della verità – complotto eversivo, orgette con minorenni, sequestri come strumento di finanziamento del complotto connessi con prostituzione minorile diffusa – è esclusivamente evocata dall’immaginario dell’epoca tradotto “politicamente” in una messa in scena parodistica – cioè, sciascianamente, “travestimento comico di un’opera seria” – che, articolando la tecnica dei generi (giallo, poliziesco, commedia), rappresenta la vicenda come una vera e propria minaccia incombente su una città (Milano, ma potrebbe essere qualunque altra) ignara e distratta verso ciò che accade la suo interno (polizia imbelle – “senza una soffiata non prenderemo mai nessuno”, , traffico impazzito, cinema vuoti e balere piene).

Seguendo quanto sostenuto da Huxley, la mente, al momento dello sguardo, definisce il rapporto con il mondo esterno. Un rapporto in cui occhi e sistema nervoso sono gli strumenti attraverso cui si dà vita al processo della visione. Processo che si definisce in tre fasi: sensazione, selezione e percezione. Attraverso la sensazione si avverte la presenza di un materiale visivamente grezzo composto di chiazze colorate: un’immagine, indefinita e sfuocata, in cui non è definito il contenuto definitivo. La selezione, delimita il campo di registrazione dell’immagine che avviene nella parte centrale della retina: si tratta di un’operazione che presenta una forte componente psicologica attraverso cui si decide di vedere solo ciò che si vuole vedere. La percezione, infine, definisce l’oggetto della visione nella sua fisicità e concretezza.

Nell’organismo queste tre fasi avvengono simultaneamente e l’uomo avverte solo l’insieme complessivo scevro dai passaggi sussidiari. La mente, quindi, agisce da centro di comando degli occhi e di direzione in modo tale che, progressivamente, l’immagine venga registrata con chiarezza. In questo processo, esiste però, una variante imprevedibile, l’immaginazione, che è la possibilità di creare combinazione tra visioni e ricordi e che ha come conseguenza non la visione della realtà bensì la sua interpretazione. Su questa variabile agisce in maniera imprevedibile l’emozione la quale altera la percezione, destabilizza lo sguardo e distorce la realtà secondo coordinate di tipo soggettive.

In Morte sospetta di una minorenne, la distorsione passa, anche, attraverso la lente incrinata degli occhiali dell’istanza conoscitiva coartando la vicenda nella sfera dell’immaginazione e del delirio di un potere che si presenta al paese (notabili, ragazzine, oscuri mandanti) sotto forma di promessa miracolistica e paradisiaca ma che, in realtà, agisce su coordinate diaboliche e vellutate. Per questo Paolo Germi esce sconfitto, senza prove e con un “cadavere di troppo” – quello del potentissimo banchiere Gaudenzio Pesce (Massimo Girotti) che non toglie e non aggiunge niente alla sua indagine. Per compiere giustizia (arbitraria) ha dovuto dismettere i panni del poliziotto e uccidere. L’ultima evidenza, la più clamorosa è che solo violando la norma si può esercitare la legge: una verità agghiacciante e tremenda che rivela la natura più profonda e innominabile dell’eversione.

di Fabrizio Fogliato ©

[1] Anton Giulio Mancino, Martino gioca d’azzardo. Film sospetti di un regista maggiorenne, INLAND – quaderni di cinema – N. 5, Bietti Edizioni, Brescia, 2017

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