Il bisogno spirituale di un riscatto e la necessità di urlare il dolore e la sofferenza che affliggono la metropoli

Bad Lieutenant può apparire come un’orgia di realtà negative, con la sua descrizione della città come inferno e del corpo come catalizzatore del Male, ma tra le sue pieghe è forte e tangibile il bisogno spirituale di un riscatto e la necessità di urlare il dolore e la sofferenza che affliggono la metropoli. Il film racconta appunto il vuoto e la solitudine dell’uomo contemporaneo che vive dentro città sempre più grandi e impersonali, dove l’unica fuga è rappresentata dalla dipendenza e dalla ricerca di un Male che affascina, inseguito con lucidità e consapevolezza. La New York descritta nel film non ha nulla di affascinante ma sembra lo scenario di un film horror, dove il Male si materializza nelle forme più strane: nelle due prostitute intente nel rapporto bondage – non più persone ma recita di se stesse; nei dialoghi impregnati di violenza razzismo e sparati a raffica come mitragliate; nella religione ridotta a feticcio scenografico – la catena del rosario appesa al retrovisore della macchina di Lt o come l’immagine di Cristo impressa sul copri divano a casa del pusher. Il sesso è ormai ridotto a simulazione, non c’è neanche più la forza e la volontà di praticarlo: il tenente si masturba guardando la ragazza che mima una fellatio.

In questa New York il caos è padrone: i rumori del traffico, i suoni incessanti dei clacson, le radio e le televisioni perennemente accese, in certi casi, rendono incomprensibili i dialoghi dandoci l’impressione di una rappresentazione astratta e straniante dell’inferno. New York è come posseduta dal Male. E’ una città che non sembra più appartenere agli uomini, ma è preda costante del contagio di odio e violenza a cui le persone non vogliono più opporsi. Un elemento che attraversa costantemente tutto il film è la serie di partite dei play-off del finale del campionato di baseball tra New York Mets e Los Angeles Dodgers. La serie è di sette partite e quando il film inizia (i titoli di testa scorrono proprio sulla radiocronaca di una partita) i Dodgers conducono 3-0 sui Mets. Il tenente continua a scommettere su Los Angeles (ma ai suoi colleghi dice che scommette sui Mets) – questi continuano a perdere facendosi rimontare fino a un incredibile 4-3 per New York.Il baseball è lo sport americano per antonomasia, quello che Walt Whitman definì il “nostro sport”. Non per niente è il Presidente degli Stati Uniti in persona a lanciare la prima palla all’inizio della stagione.[1]

Il tenente e i suoi colleghi però, sono interessati al baseball solo perché ci scommettono sopra, non hanno nessun interesse particolare, non sono tifosi ma si ritrovano a parteggiare per l’una o per l’altra squadra a seconda di dove hanno puntato i soldi. Anche lo sport nazionale quindi non ha più niente di epico. Niente eroi per questa America sprofondata nel vizio e nella corruzione, neanche quelli sportivi: il campione Strawberry  – come un dilettante – si fa eliminare nella partita decisiva condannando i Dodgers alla sconfitta e il tenente ad ingigantire il suo debito con la mafia alla cifra di $ 120.000. New York è come un crogiolo infernale dove il Male penetra e si diffonde, si allunga lungo i marciapiedi bagnati, si arrampica su per scale fatiscenti fino a penetrare in chiesa, ma qui trova un ostacolo insormontabile: l’Amore di Dio incarnato dal corpo di una suora violentata. New York come Sodoma, una nuova capitale del vizio dove tutto può succedere e tutto succede: “It hall happens here” recita la scritta sulla pubblicità affissa sulla facciata del Madison Square Garden posta sopra l’auto del tenente morto nel finale del finale.

Nella New York di Bad Lieutenant, le stanze, gli edifici e le auto diventano vere e proprie prigioni: i personaggi sono come ingabbiati nel posto che occupano, non hanno possibilità di muoversi indipendentemente e la composizione geometrica degli spazi, oltre la riduzione estrema dei dettagli, pone le figure umane come immerse nel vuoto. Non è casuale che tutti gli omicidi (quello delle ragazzine a inizio film, quello del pusher e quello dello stesso Lt) avvengano nello stretto dell’abitacolo di una macchina: la vettura, luogo in cui l’uomo moderno trascorre gran parte della sua giornata spesso inutilmente, perché immobile e intrappolato nel traffico, diventa simbolo di una società materialista e meccanizzata in cui non c’è più posto per la spiritualità e la preghiera. Una città così astratta e infernale, evidentemente, può anche non essere reale, ma può essere considerata come partorita dalla mente del tenente che mano a mano che sprofonda nel suo degrado, modella gli spazi intorno a sé per trovarsi a proprio agio. Il racconto di New York, così come quello del corpo e della spiritualità ad esso opposta/annessa passa attraverso modelli cinematografici ben precisi che Abel Ferrara riesce a suddividere e a catalizzare a seconda dell’argomento trattato, creando una sorta di soluzione di continuità tra passato e presente, tra rigore e improvvisazione, tra modelli “alti” e “bassi”: tutte peculiarità strette attorno ad un “poliziesco sui generis” che si serve del racconto investigativo non solo come pretesto narrativo ma anche come modello archetipo di una società corrotta in cui il confine tra lecito e illecito è lo stesso che divide il peccato dalla redenzione.

di Fabrizio Fogliato

[1]      Gaime Alonge, Abel Ferrara, in Leonardo Gandini e Roy Menarini (a cura di), Hollywood 2000, Panorama del cinema contemporaneo: autori, Le Mani, Recco (GE), 2001, p.145

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