Tutto quello che c’è da sapere su questo film…sul secondo volume di “ITALIA: ULTIMO ATTO. L’ALTRO CINEMA ITALIANO” di Fabrizio Fogliato – In lavorazione.

IL QUINTO STATO

Nel 1978 l’anti-stato del terrorismo (al pari di quello mafioso), si contrappone ad uno stato dove il potere è arginato e delimitato ad una cerchia di “eletti” e perennemente minacciato dal pericolo della delazione, poiché l’ipocrisia diventa norma e la ricattabilità degli individui costituisce l’equilibrio (precario ma fortissimo) su cui si regge tutto il sistema. Il potere diventa quindi quel “Quinto Stato” dove tutto è lecito ed ammesso in una relazione biunivoca di interscambio di favori, raccomandazioni e prebende. La corruzione si fa sistema e attraversa trasversalmente i vari ambiti della società, lambisce il Vaticano (il crack del Banco Ambrosiano) e intacca irreparabilmente la coscienza e l’agire degli Italiani. Il quadro esaustivo del “Belpaese” tracciato nel 1977 da Mario Monicelli con Un borghese piccolo piccolo, diventa un anno dopo limitato e moderato.

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Nel 1978, tre film come Ritratto di borghesia in nero di Tonino Cervi, Suor Omicidi di Giulio Berruti e Porco Mondo di Sergio Bergonzelli diventano, attraverso i loro eccessi, la fotografia lisergica del caos dominante. Tre allucinazioni che, tra passato e presente, indagano (a modo loro) negli interstizi del potere rivelando le frattaglie di una società proiettata verso un edonismo vacuo e promiscuo dove potere, droga e denaro assumono la valenza astratta e totalizzante di un dio da venerare. Borghesia, religione e politica vengono inchiodate alle loro responsabilità morali con coraggio, spregiudicatezza ed incoscienza, diventando gli imputati primari del degrado imperante. Tra scelte effettistiche, qualunquismo, provocazioni e cinismo calcolato, emerge dalle pieghe delle tre pellicole quel senso di condanna e rassegnazione autopunitiva che il cittadino medio continua a negare a se stesso.

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In questi tre film “ dimenticati” e rimossi, l’omicidio diventa “politico” in quanto animato da una scelta di convenienza, la droga diventa l’espediente assolutorio per giustificare i comportamenti e il potere “assoluto ed astratto” l’unica ragione di vita in funzione della quale si compiono scelte più o meno raccapriccianti. Il cerchio si chiude quindi, e i due estremi che si toccano sono l’italiano medio e il suo desiderio (insoddisfatto) di felicità da un lato e il potere costituito e partitocratrico dall’altro: in mezzo, all’interno di questo cerchio ipotetico è chiuso il cortocircuito delle dinamiche di potere che non ha niente a che vedere con la democrazia ma ne è solo il suo esatto contrario.

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Tonino Cervi, con Ritratto di borghesia in nero, dirige un film sulle “anime perse” della borghesia media e alta, ispiratogli da una novella di Peyrefitte (La maestra di pianoforte) sceneggiata insieme a Cesare Frugoni con la collaborazione di Goffredo Parise. Anziché nella Parigi del primo dopoguerra, l’azione è trasferita nella Venezia del 1938, rievocata dall’interno di due famiglie in cui la passione e la gelosia divampano secondo i canoni del feuilleton con pretese storico-politiche, rappresentando attraverso gli interni, un mondo “oscuro” dove al al gioco ambiguo dei sentimenti corrisponde la tortuosità delle calli veneziane.

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Se si considera il film dal punto di vista argomentativo, esulando sia dalla qualità che dal risultato artistico (entrambe di media fattura), Ritratto di borghesia in nero è il nostro “Nascita di una Nazione”: Il paragone che può risultare irriverente, va invece declinato sui canoni “popolari” della pellicola che mette in scena un mondo borghese, in cui (solo) apparentemente non succede niente (tutto è luminoso, tutti sono vestiti di bianco, tutti vivono nell’agiatezza), ma basta grattare leggermente la superficie e il marcio affiora e dilaga, attraverso una narrazione che si fa elegia obliqua e in negativo, mostrando il vero motore che anima le dinamiche del nostro Paese: il Quinto Stato appunto, fatto di poteri occulti, trasformismi, eminenze grigie e nepotismi, che nel gorgo di odi familiari trova la forza e la ferocia per schiacciare i deboli, ricattare i potenti e dulcis in fundo (ma in realtà è l’obiettivo primario) curare i propri interessi. Non c’è speranza in questo film, chiuso in spazi asfittici (stanze, corridoi, chiese), che invade di nero la scena, con i drappi dei funerali, i vestiti e i cappelli, le strade riprese di notte e la morte che è contemporaneamente momento liberatorio e subdolo, perché è tramite di essa che si consuma l’inganno e si compra il silenzio. Ambizione, arrivismo, denaro e sete di potere sono le componenti del morbo che deturpa i corpi dei personaggi, che alimenta il loro delirio di onnipotenza e che devasta i loro sentimenti corrotti e malvagi.

 Continua…

 di Fabrizio Fogliato

Prossimamente sul secondo volume di

ITALIA: ULTIMO ATTO. L’ALTRO CINEMA ITALIANO

 

 

1 Commento

  1. Ornella Muti, the queen of modern erotic italian Cinema !

    Quand’io son tutto vòlto in quella parte
    ove ‘l bel viso di madonna luce,
    et m’è rimasa nel pensier la luce
    che m’arde et strugge dentro a parte a parte,

    i’ che temo del cor che mi si parte,
    et veggio presso il fin de la mia luce,
    vommene in guisa d’orbo, senza luce,
    che non sa ove si vada et pur si parte.

    Cosí davanti ai colpi de la morte
    fuggo: ma non sí ratto che ‘l desio
    meco non venga come venir sòle.

    Tacito vo, ché le parole morte
    farian pianger la gente; et i’ desio
    che le lagrime mie si spargan sole.

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