Fantasmi da un passato poco conosciuto

Schloss Vogelöd è il film che precede Nosferatu – Eine Symphonie des Grauens (Nosferatu, 1921). Schloss Vogelöd appartiene a quella serie di opere meno conosciute del regista tedesco rislaenti al periodo in cui è sotto contratta con la Decla-Bioscop, periodo in cui, nonostante il successo di film come Der Gang in die Nacht (Il cammino della notte, 1920), non viene ancora ritenuto dalla critica un grande artista bensì solo un’interessante e promettente giovane di talento. Quello alla Decla-Bioscop è il periodo in cui F.W.Murnau affina la sua capacità, unica, di costruire, in situazioni normali e ordinarie (utilizzando gli elementi naturali, luce, aria, acqua…) un atmosfera carica di minaccia e di sfumature vagamente misteriosi e inquietanti.

Schloss Vogelöd si avvale della sceneggiatura di Carl Mayer, tratta da un mediocre romanzo di Rudolf Stratz; le scenografie sono create dalla mano sapiente e geniale di Hermann Warm, il quale alterna scenari realistici a “quadri” impressionisti, mentre gli operatori del film sono due tra le figure professionali più emimnenti e importanti dell’espressionismo tedesco: Fritz Arno Wagner e Laszlo Scheffer. In Schloss Vogelöd Murnau non interviene più di tanto nel modificare e/o suggerire cambiamenti in fase di sceneggiatura, ma si limita per la parte (eccessivamente – ben 165 didascalie) dialogata a seguire le indicazioni di Mayer, il quale costruisce un racconto schematico e frammentato ma molto efficace nella sua secchezza, come evidenzia il passaggio dell’arrivo di Padre Faramund: “Un ombra. Scarna. Indossa un lungo saio. Le mani intrecciate. Occhiali, dietro i quali c’è uno sguardo penetrante. E’ il monaco”. La storia di Stratz, alla base del film, è banale e prevedibile, quasi da romanzo d’appendice; Mayer, ne altera i passaggi più semplicistici e scontati attraverso l’uso di spiazzanti salti temporali (ellissi, sineddochi e flashback), agisce sugli oggetti facendoli diventare simbolici e “viventi” e opera con Murnau una frammentazione dello spazio necessaria per isolare i personaggi nel loro tormento interiore e per mostrare la totale assenza di rapporti interpersonali tra gli ospiti del castello, i quali appaiono sempre come entità uniche e distinte.

F.W. Murnau, accentua ulteriormente l’isolamento del Conte Oetsch mediante l’uso della profondità di campo, riprendendo totali delle stanze interne al maniero in cui il conte rimane sempre isolato sullo sfondo, quasi nascosto nell’ombra, mentre gli altri ospiti dialogano o giocano a carte seduti a tavoli in primo piano. Lo stesso regista pare divertirsi nell’osservare questi borghesi inetti e incattiviti contorcersi nella loro falsità e nelle loro paure, visto che utilizza un’ironia sferzante e pungente nel tratteggiare i toni umoristici dei due incubi notturni: l’uomo timoroso (non a caso interpretato dal comico Julius Falkenstein) sogna che una grossa mano penetri nella sua stanza, lo ghermisca e lo trascini fuori a forza; mentre l’aiuto-cuoco si vendica del suo principale prendendolo a schiaffi mentre questi rimane immobile. Lo stesso Mayer, pur non addentrandosi in territori psichici, nella sua sceneggiatura incide nel plasmare i personaggi attraverso l’uso reiterato di interrogativi che questi pongono (a se stessi e agli altri) e che preludono ogni volta a svolte drammatiche del racconto.

Pioggia incessante su un castello immerso nella brughiera. Autunno, un gruppo di amici si ritrova nella tenuta del Sig. Von Vogelschrei (Arnold Korff), per una battuta di caccia. Tutti gli invitati sono in attesa dell’arrivo della baronessa Von Safferstädt (Olga Tschechova). La donna è attesa in compagnia del suo secondo marito, ed è preceduta dall’arrivo inaspettato del conte Johann Oetsch (Lothar Mehner). Il conte nel passato, è stato accusato di fratricidio nei confronti di Peter Paul Oetsch (Paul Hartmann), suo fratello e primo marito della baronessa. Nonostante il delitto non sia mai stato provato, il conte viene visto con sospetto e diffidenza da parte di tutti gli ospiti del maniero. Al suo arrivo la baronessa è avvisata della presenza dell’ospite inatteso: la sua reazione è quella di tornare subito indietro, ma viene convinta a trattenersi dalla moglie del signore del castello, la quale le confida l’arrivo da Roma di Padre Faramund, un parente del primo marito sconosciuto tanto a lei quanto a tutti gli ospiti. Il mattino successivo viene aperta la battuta di caccia, a cui non partecipa solo il conte Oetsch. Mentre tutti gli ospiti sono intenti nella battuta, improvvisamente il tempo cambia e comincia a piovere copiosamente: mentre tutti rientrano il conte esce solitario a cavallo e si immerge nella foresta…

Per opposti, la coppia Murnau-Mayer lavora sugli esterni definendo, attraverso la riproposizione “ritmica” del campo lungo della facciata del castello (per il quale venne utilizzato un modellino dello stesso – foto), una dimensione “sospesa” fatta di angoscia diffusa, terrore e staticità. La pioggia persistente gioca qui un ruolo determinate (richiamando l’uso del paesaggio nel cinema svedese dell’epoca), poiché impedisce agli ospiti di fuggire e contribuisce quindi a fossilizzare e cristallizzare la situazione in un ambiente claustrofobico, evidente proiezione “impressionista” dello stato d’animo e delle paure degli ospiti del castello. Emblematica, a tal proposito è l’inquadratura della “sala grande” spoglia e desolata, percorsa da una luce tremolante che si mescola con le ombre, in cui, schiacciati contro le pareti prospicienti si trovano la baronessa Von Safferstädt e il barone, complici e amanti, legati dal segreto del delitto: il momento in cui è posta l’inquadratura è cruciale, visto che è quello in cui il barone confessa alla donna di essere lui l’omicida di suo marito.

Sempre la rappresentazione dell’esterno, la quale qui, sembra anticipare alcune situazioni che diventeranno conclamate nel successivo Nosferatu utilizza il cielo nero, gli alberi mossi dal vento, lo scosciare della pioggia, la strada fangosa e scoscesa per mostrare l’arrivo della carrozza all’inizio del film, come un’ombra sinuosa e inquietante che incede veloce e oscura e si pone come una minaccia incombente sul castello: l’arrivo dell’ “altro”, ciò che nell’espressionismo tedesco (ma non solo) rappresenta il perturbante che sconvolge la quiete e che in Schloss Vogelöd, paradossalmente, diventa l’elemento in grado di riportare a galla la verità. Sulla stessa linea, anche se forse in maniera più criptica si inserisce il campo medio in cui è mostrato il laghetto in cui (si presume) si butti la baronessa una volta saputo del suicidio del marito: l’immagine non è chiara (forse tagliata) ma si pone in netto contrasto cromatico (e di conseguenza narrativo) con quelle solari e bucoliche del flashback in cui viene mostrata la felicità della vita di coppia tra la baronessa Von Safferstädt e il suo primo marito Peter Paul Oetsch.

Schloss Vogelöd, nonostante il suo essere del tutto sconosciuto, risulta quindi opera determinante per comprendere tanto la poetica del regista quanto la sua personalità, visto che in questo film co-esistono le due anime del cinema di Murnau, quella malinconica e inquietante e quella sarcastica e vivace. Certo è che in questo film è sorprendente veder come una narrazione ordinaria venga “sconvolta” da una messa in scena che attraverso i codici secondari del cinema (scenografia, fotografia…) ne trasfigura gli elementi realistici in qualcosa di trasognante e irreale. Certi passaggi sembrano composti come quadri fiamminghi, con l’utilizzo di una luce che “esplode” intorno a personaggi e oggetti e immerge nell’oscurità (e quindi nel mistero) tutto quanto li circonda. A completamento va sottolineato come la scrittura scarna ed essenziale di Carl Mayer restituisce a Schloss Vogelöd un atmosfera di suspance perenne che non fa mai calare l’attenzione e che “guida” lo spettatore (in parallelo con i personaggi) fino allo svelamento finale.

di Fabrizio Fogliato

SCHLOSS VOGELOD
TITOLO ORIGINALE: Schloss Vogelod
TITOLO ITALIANO: Il castello di Vogelod
GENERE: Drammatico
ANNO: 1921
PAESE: Germania
DURATA: 72 Min (20 f/s)
LINGUA: Muto con didascalie in tedesco
REGIA: F.W. Murnau
SCENEGGIATURA: Carl Mayer, Berthold Viertel da un racconto di Rudolph Stratz
FOTOGRAFIA: Lazlo Schaffer, Fritz Arno Wagner
MONTAGGIO:
MUSICHE:
PRODUZIONE: Uco Film GmbH e Decla-Bioscop AG
ATTORI: Arnold Korff, Lulu Kyser Korff, Lothar Menhert, Paul Hartmann, Paul Bildt, Olga Tschechowa

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