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Vincent Gallo

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ESSENTIAL KILLING (2010) di Jerzy Skolimowski

La fuga non conduce in nessun luogo ma porta, solo, alla perdita dell’orientamento

 

Essential Killing è una poesia dipinta sul creato a colpi di pennellate lente, rigorose e sinuose. Un apologo sul rapporto tra uomo-ambiente, ma soprattutto sul rapporto tra animale-uomo e ambiente ostile. Un apologo antropologico, che non ammette cedimenti e in cui ogni immagine è utile e necessaria, ogni inquadratura è essenziale e mai sprecata. La dimensione su cui si muove la vicenda è quella basica dell’istinto come motore dell’agire umano. Azioni brutali e selvagge che si susseguono in una narrazione, solo apparentemente elementare in cui ogni snodo narrativo è rappresentato al grado zero del suo sviluppo. L’atmosfera straniante, “aliena”, barbara in cui si muove il protagonista non fa differenza tra il deserto di pietra delle montagne di Tora Bora e i boschi fitti e sconfinati del nord della Polonia. È uno scenario necessario che fa da contrappunto al movimento di un personaggio che grazie all’assenza di dialogo viene raccontato come “puro” e privo di qualsivoglia implicazione morale. Quello dell’uomo protagonista del film è un comportamento legittimo nella sua dimensione animale, un comportamento dettato dalle circostanze in cui si trova e in merito al quale è praticamente impossibile esprimere un giudizio. Jerzy Skolimowski, con la sua macchina da presa tratteggia un affresco che pesca nelle ambientazioni malinconiche della pittura di Caspar David Friedrich, delineando un luogo in cui tutto sembra essere ostile e avverso nei confronti dell’uomo. Una natura selvaggia che rifiuta l’uomo come se fosse un intruso: gli nega da mangiare, da bere, lo costringe al gelo durante la notte e gli nega il calore del sole durante il giorno. Non è casuale che il cibo (il pesce crudo) l’uomo lo rubi a un pescatore, che il calore lo trovi nella casa della donna nel finale del film e che solo qui possa bere anche qualcosa di caldo.