Tu quoque, sicut tu, soror mea…
Questo passaggio è sottolineato dal regista sia attraverso l’uso della musica, sia attraverso un differente stile di ripresa in cui, da movimenti fluidi e circolari si passa ad un ralenty esasperato e nervoso. La messa in scena è ancora una volta quella del rituale: prima Thana viene portata di sopra da Albert che vuole possederla ma, una volta alzata la veste sacra – mentre una croce cade sul monte di venere – la donna impugna la pistola che tiene nel reggicalze e uccide l’incredulo padrone dell’atélier.
Lo sparo rimbomba nella sala, dove si diffonde il panico ed inizia un fuggi fuggi generale. Qui Thana, una volta scesa nella folla comincia a fare strage di maschi: un macabro balletto che sa di cerimonia si consuma con lei spinta contro la ragnatela che si estende alle sue spalle. Poiché il ragno nell’antica Grecia rappresentava la caricatura della divinità, mentre Thana è solo una donna, la sua rabbia si affievolisce ed è come se si sentisse esautorata dal proprio ruolo. A questo punto Laurie impugna un coltello e – appoggiatoselo tra le gambe come un fallo (ma posizionato sul monte di venere) – trafigge alle spalle il corpo di Thana.
In seguito alla pugnalata Thana si gira di scatto e incredula pronuncia con disappunto la parola “sister”: non pensa che un’altra donna possa fermarla, a maggior ragione visto che lei si è erta a paradossale portavoce dell’intero universo femminile. In questo finale beffardo, la voce di Thana (quella cioè della sua calibro 45) è zittita da una “sorella” (così Laurie viene appellata precedentemente dal fotografo) che non accetta la violenza e il furore con cui la sartina arbitrariamente uccide i maschi. Thana rimane incredula perché non capisce come una donna come lei non possa unirsi alla sua voce.
Se questo finale allontana il film dalle accuse di essere una pellicola femminista, è certo che la donna e la sua femminilità sono al centro delle tematiche che lo attraversano. Il continuo rimando alla circolarità (il cerchio come simbolo della donna), l’introduzione di questa figura geometrica nel film, un continuo rimando all’universo femminile, possono essere spiegati solo attraverso le dinamiche delle società primitive: non a caso la scena del cerchio e dei quattro omicidi a Central Park è orchestrata come un chiaro omaggio a The Warrior (I guerrieri della notte, 1980) di Walter Hill, e alle letture psicanalitiche secondo cui la casa degli uomini è piantata come un fallo nel cerchio femminile.[1]
Nicodemo Oliverio, scrivendo il film, ribalta completamente questo teorema e mette la donna al centro del cerchio, mentre gli uomini ne occupano la circonferenza: grazie all’inquadratura dall’alto si può notare il cerchio composto dalla pavimentazione della piazza e la donna al centro che, semplicemente ruotando su se stessa, comincia a sparare uccidendo i giovani uno dopo l’altro senza dargli la possibilità di penetrare all’interno della circonferenza.
Il personaggio ambiguo e complesso di Thana, in definitiva può essere visto come l’alter-ego femminile del Reno di The Driller killer: entrambi uccidono a causa della pressione esercitata dall’esterno; entrambi sono diversi e inconcilianti con il mondo in cui vivono; entrambi sono vittime e colpevoli al contempo e traumatizzati da una violenza che non sanno spiegare; infine entrambi sono letture “allucinate”, autobiografiche del primo periodo artistico ed esistenziale del regista di New York.
di Fabrizio Fogliat
[1] Renè Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2003, pp.198-199