Vita quotidiana di un sistema criminale senza né morale né legge

 

In Gomorra si spara con armi sempre uguali e sempre diverse, si spara con armi che si tengono addosso tra l’elastico delle mutande o a contatto con la pelle sotto la maglietta lorda di sangue; si spara con armi d’acciaio rese scivolose del sudore di giornate sempre uguali e sempre diverse trascorse sotto un cielo incolore che trasuda di morte e di destino; si spara con armi vecchie e nuove che fanno rumori secchi e improvvisi, capaci di trasformare la gioventù in condanna.

In Gomorra si spara per la strada, nell’androne di casa, in fretta e di corsa attraverso il finestrino di una macchina che confonde lo stridio dei pneumatici che sgommano con le note di Gigi D’Alessio; si spara nei solarium dove i colori “fantascientifici” non cancellano l’olezzo di morte che si manifesta dopo una pioggia di pallottole che si riversano su uomini impegnati a diventare come i divi della Tv; si spara alla cieca tanto il bersaglio e grosso e impegnato a farsi fare la manicure o accecato dai raggi delle docce solari.

In Gomorra si spara nel profondo della terra, sotto la superficie, perché è li che si diventa “grandi”; si spara tra le barriere di Scampia perché qualcuno l’ha deciso e c’è sicuramente qualcuno pronto a farlo perché “o sei con noi o sei contro di noi”; si spara per diecimila euro perché questo è il prezzo che vale una vita umana, poi, forse, arriva anche la motocicletta e allora “il colpo vale la pena” ; si spara per cancellare la verità: sia quella del perbenismo e della compostezza dell’imprenditore della camorra che “smaltisce” i rifiuti con l’aiuto delle braccia nere della schiavitù e con l’aiuto dei piccoli Rom che guidano i camion, sia quella dei “piccoli Gangster” che nel nero bruciato delle ville di Casal di Principe diventano emuli coloratissimi di Tony Montana e giocano a fare la guerra ai colombiani virtuali.

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In Gomorra esistono solo il Nero del Male e il Fucsia delle Apparenze. In Gomorra solo il font “Impact” può descrivere la pesantezza dell’esistenza, di una vita che va bruciata in fretta, presto e subito. In Gomorra non c’è spazio che per Gomorra, il resto è nulla: la vita si nutre degli anfratti di Scampia, del baratro dell’esistenza, della morte improvvisa e banale, del sonno della ragione, dello stato che non c’è. Il Fucsia stordisce la vista, ottunde la percezione visiva e trasforma le bambine in “mostri”: quelli della Tv dal trucco troppo marcato dal botox clandestino e deformante; bambine che crescono in fretta senza accorgersi di essere già donne condannate all’illegalità e spesso al meretricio.

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In Gomorra c’è solidarietà, si aiuta il prossimo, non si fa distinzione tra Nord e Sud ma anzi il secondo è utile al primo e viceversa. Così gli imprenditori del Nord “produttivo”, quello sempre attento al guadagno e al risparmio si affidano al “colletto bianco” del Sud che assicura di fare un buon lavoro con i rifiuti tossici, mentre l’imprenditore del Nord, premuroso, si preoccupa che “tutto sia clean…come dicono gli americani”. Gomorra ci dice in fondo è “così che funziona il sistema” e per salvare un operaio di Mestre bisogna far morire di tumore una famiglia a Mondragone. In Gomorra si può guadagnare di più: si va a lavorare per i cinesi ma bisogna mettere in conto che gli amici possono non gradire e che una pallottola può sempre arrivare.

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L’uomo del Nord vede Gomorra e dice che ha Napoli è così. L’uomo del Sud vede Gomorra e dice che a Napoli è così, ma che dal Nord inquinano i nostri terreni. Il contadino vede Gomorra e dice che per mangiare si può vendere un terreno a chi vuole smaltire i rifiuti, tanto poi si copre tutto e si semina di nuovo. L’imprenditore vede Gomorra e dice che smaltire costa troppo, quindi se si può risparmiare è meglio. L’Italiano vede Gomorra, alza le spalle e dice che tutto è già risaputo. Lo straniero vede Gomorra e ha paura…

In Gomorra lo stato non c’è: è un ombra nella folla, un scritta sulla fiancata di una macchina metà azzurra e metà bianca, un lampeggiante che attraversa il rumore del traffico caotico dei motorini e delle macchine truccate e che al massimo si può fermare ad osservare ciò che succede, impotente ed attonito (quando non-connivente).

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Gomorra è Morte, quella improvvisa, sporca, sudata, impiastrata di salsedine e di rimmel, quella che sorprende ovunque e in nessun luogo, quella che circola per le strade dietro finestrini rigati di pioggia, seduta negli uffici degli impiegati dell’ “anti-stato” e quella che non si sente perché il rumore neo-melodico che proviene dalle autoradio rubate è sempre più alto. E’ Morte che si nasconde nei pomeriggi che i bambini trascorrono nelle piscine di gomma a contatto con il cemento rovente e fatiscente delle Vele di Scampia: uomini e donne di domani, senza né futuro né speranza.

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Lo straniero che vede Gomorra e che ha paura rivolge il suo pensiero a quei bambini che, in qualunque altro film diventerebbero la nota positiva, mentre in Gomorra possono solo essere inquadrati in campo lungo, si possono solo sentire le grida dei loro giochi, ma per pudore, non ci si può avvicinare, perché sono troppo piccoli per sbattergli in faccia la verità, per troppo piccoli per negargli la felicità del gioco, troppo piccoli per mostragli quel è il futuro che li attende.

 di Fabrizio Fogliato

 

 

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