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DELIVERANCE [Un tranquillo weekend di paura, 1972] di John Boorman

Deliverance è un funerale tribale, in cui il fiume rappresenta la via che conduce agli inferi.

Ciò che colpì più di ogni altra cosa l’immaginazione del dottor Sanders, quando guardò per la prima volta verso la grande distesa dell’estuario del Matarre, fu l’oscurità del fiume. Dopo molti ritardi, il piccolo battello passeggeri si stava finalmente avvicinando alla fila delle banchine, ma sebbene fossero le dieci, la superficie dell’acqua era ancora grigia e indolente, e filtrava le tinte cupe della vegetazione che ricadeva folta e inerte lungo le sponde del fiume. A intervalli, quando il cielo era coperto, l’acqua era quasi nera, come una tintura putrescente. Per contrasto, la distesa disordinata di magazzini, depositi e alberghetti che costituivano Port Matarre riluceva tra quelle masse scure con una brillantezza spettrale, come se fosse illuminata più da qualche fonte interiore che dalla luce solare simile al padiglione di una necropoli abbandonata, edificata su una teoria di moli scaturiti dalla giungla.(da Foresta di cristallo di James Graham Ballard).

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 6

Il gioco comincia con una scommessa: le vittime designate non rimarranno in vita più di dodici ore.

Funny Games si alimenta dell’indeterminatezza e dell’imprevedibilità del gioco. Quando si inizia a giocare non si sa né quali saranno gli sviluppi futuri né quando il gioco terminerà. Ci sono delle regole, si seguono quelle e si vede che cosa succede. Funny Games costruisce delle sue regole personali che – per quanto assurde possano sembrare – sono in realtà molto tangibili e concrete. La tensione e la crudeltà presenti nel film sono talmente particolari che non svelano mai il carattere teorico e di rappresentazione di ciò che è mostrato.

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 5

The End: il loop che sancisce l’assoluta reversibilità dell’atto di morte

La tensione che lentamente si insinua nei due film agisce su di un set/architettura che è riproposizione del vivere quotidiano. I corridoi, le porte, gli stipiti attraverso cui osserviamo l’agire dei protagonisti sono passaggi virtuali in cui si muovono “mostri” annidati nell’ombra. L’utilizzo insistito del sonoro fuori campo anticipa tutta una serie di aspettative e condiziona inevitabilmente il desiderio di vedere ciò che è successo dall’altra parte. Questa dimensione angosciante e perturbante e data dalle barriere che dividono gli spazi che costituiscono un’interdizione tra sentito/mostrato e tra desiderio di conoscere la soluzione dell’atteso/inatteso. L’attrazione/repulsione che ne scaturisce è innescata dal sonoro mentre il mostrato resta ineluttabilmente fuori. Questo accade non solo per lo spettatore ma anche per i protagonisti che non vedono mai ciò che accade nell’altra stanza.