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La proprietà non è più un furto

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BUONE NOTIZIE – LA PERSONALITA’ DELLA VITTIMA (1979) di Elio Petri

Elio Petri rilegge Jean-Paul Sartre. Riflessione disordinata e ghignante su uno spettacolo privato

“Il senso della morte era un’ossessione. In certi momenti il sentimento della morte era così forte che non riuscivo più a mangiare e a dormire”. Per un regista dalla personalità poliedrica e complessa come Elio Petri le ossessioni personali, le disillusioni verso un mondo che stenta a riconoscere (e a riconoscerlo) prendono forma attraverso concetti scritti in ordine sparso come fossero degli appunti: la paura della morte, la depressione latente, le perplessità di fronte a una realtà storica che ha tradito le aspettative rivoluzionarie. “Per fare un film bisogna avere, oggi molta follia e molto amore per il cinema. E questo è probabilmente l’unico aspetto positivo della faccenda”. Nell’ultimo periodo della sua vita (stroncato da un tumore all’età di 53 anni il 10 novembre 1982), il regista si trova stretto in un vicolo cieco in cui le pareti dell’incomunicabilità da un lato e della paura della morte dall’altro, stritolano la sua ispirazione facendo emergere – sottoforma di sgradevolezza programmata – solo malessere e sofferenza dell’artista. Ecco allora che il cinema deve prendere strade diverse: non più metafora ma analisi esistenziale, non più dinamismo della messa in scena ma staticità (debordante del primo piano), non più ricerca del successo ma riflessione disordinata e ghignante su uno spettacolo privato come è quello della vita di coppia.

LA PROPRIETA’ NON E’ PIU’ UN FURTO (1973) di Elio Petri

Un padrone, un popolo… il denaro

 

Diretto da Elio Petri nel 1973, La proprietà non è più un furto è l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al potere. Questo film arriva dopo l’analisi del potere istituzionale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e dopo quella del potere padronale di La classe operaia va in paradiso. Alla sua uscita, l’ultimo capitolo della trilogia di Petri venne aspramente criticato dalla sinistra dell’epoca e (cosa che fece più male al regista), letteralmente massacrato dai propri colleghi. Se apparentemente il film sembra meno riuscito dei due precedenti (e in effetti lo è), in realtà si tratta di un’opera profetica in grado di delineare, seppur in maniera confusa e approssimativa, le dinamiche socio-economiche di un’Italia proiettata nei rampanti anni ’80. Volutamente sgradevole e volgare La proprietà non è più un furto rappresenta lo specchio incrinato di una società traumatizzata dall’improvvisa mancanza di benessere, alla disperata ricerca di quel “boom” che pochi anni prima ha fatto dell’Italia uno dei paesi più industrializzati d’Europa.

Il giovane ragionier Total (Flavio Bucci), allergico al denaro altrui fino a violente forme di irritazione cutanea, decide di abbandonare il posto in banca per dedicarsi interamente alla persecuzione di un ricco macellaio romano (Ugo Tognazzi). Marxista-mandrakista, come si definisce all’ombra di un manifesto di Mandrake il mago, il ragioniere non lesina dispetti per angosciare il macellaio: gli ruba il coltello, il cappello, i gioielli dell’amante/proprietà Anita (Daria Nicolodi), finché si mette alla scuola di un ladro esperto detto “Alberatone” (Mario Scaccia), per diventare sempre più pericoloso. Ma Total è destinato a scoprire che i furtarelli non scuotono la fiduciosa tracotanza di un capitalista, anzi l’attività dei ladri non è altro che una modesta caricatura della lotta di classe e si integra nel sistema. Cosi il ladro professionista muore in questura, mentre Total fa anche lui una brutta fine…