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GOMORRA (2008) di Matteo Garrone

Vita quotidiana di un sistema criminale senza né morale né legge

 

In Gomorra si spara con armi sempre uguali e sempre diverse, si spara con armi che si tengono addosso tra l’elastico delle mutande o a contatto con la pelle sotto la maglietta lorda di sangue; si spara con armi d’acciaio rese scivolose del sudore di giornate sempre uguali e sempre diverse trascorse sotto un cielo incolore che trasuda di morte e di destino; si spara con armi vecchie e nuove che fanno rumori secchi e improvvisi, capaci di trasformare la gioventù in condanna.

Schegge di analisi su “APPUNTI PER LA DISTRUZIONE” (2008) di Simone Scafidi

“LEBEN MACHT SKLAVEN”

L’uomo , la carne e le macerie…e l’11 Settembre 2001 sembra già dietro l’angolo

 

Dante Virgili (1928-1992), lo scrittore maledetto di cui non esiste nemmeno una fotografia, è lo spunto di partenza del film “APPUNTI PER LA DISTRUZIONE”. Attraverso una serie di interviste la personalità di spicco del mondo editoriale (Antonio Franchini, Marco Monina), letterario (Ferruccio Parazzoli, Bruno Pischedda), politico (Marco Pannella, Giancarlo Simonetti) e religioso (Vito Mancuso, Monia Ovaia, Gabriele Mandel), viene ricostruita la vicenda umana e artistica dell’autore de “LA DISTRUZIONE” (Il Saggiatore), lo scandaloso romanzo nazista che, pubblicato nel 1970, anticipò di più di 30 anni l’attentato dell’11 Settembre 2001. La vicenda di Virgili, legata anche al romanzo inedito “METODO DELLA SOPRAVVIVENZA” diventa lo stimolo per un’indagine sul MALE. Il tutto inframmezzato da potenti ed evocative scene di fiction ispirate all’universo creativo di Virgili.

Un acquitrino ghiaioso, rada vegetazione di erbacce, stalagmiti di cemento emergono dal terreno: Ciò che rimane di un crollo? La disperazione della natura? Le macerie dell’uomo? Forse… Sullo sfondo una figura nera e indistinta avanza ansimante verso lo schermo. Un maschera nera copre il suo volto. Poi d’improvviso il passamontagna viene sfilato e un urlo di agghiacciante silenzio fluisce disperato da quell’organismo. Un’immagine che condensa al suo interno l’essenza del Grido di Edward Munch e cioè il senso dell’irrimediabile perdita di armonia tra uomo e cosmo, spingendo tale consapevolezza fino al punto di non ritorno. Un frammento visivo che rimane, al termine della visione, conficcato nel cervello. L’unica vera e forse, definitiva risposta al Male evocato in precedenza. Che cosa è il Male? Esiste il Male? Chi è il Male? Domande, solo domande senza risposta…

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ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri (prefazione di Davide Pulici)

Cineclandestino.it – Recensione a cura di Riccardo Nuziale

Ad oltre un anno dalla sua uscita – e in attesa del secondo volume – continua il grande successo di critica e di pubblico di “ITALIA: ULTIMO ATTO. L’altro cinema italiano” di Fabrizio Fogliato.

Italia, raccontaci un’altra storia! – Recensione di Riccardo Nuziale – 17 Giugno 2016 –

Nella storia del cinema italiano di Fabrizio Fogliato, ad esempio, non c’è spazio per i nomi che…”ci hanno sempre detto” essere la storia del cinema italiano. Niente Rossellini, De Sica, Visconti, Germi, Fellini, Visconti, Antonioni, Ferreri, insomma. Infatti Fogliato ha apostrofato il suo Italia: Ultimo Atto come l’altro cinema italiano. Un altro cinema, che molto difficilmente troverebbe spazio nei corsi universitari standard; e – o meglio, perché – un cinema altro, escluso dai canoni ufficiali in quanto impegnato a cercare strade non convenzionali, forse per la critica troppo poco intellettuali e grammaticalmente ortodosse ma non per questo meno coraggiose e, nei risultati migliori, meno riuscite.

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INTÉRIEUR D’UN COUVENT (INTERNO DI UN CONVENTO, 1977) di Walerian Borowczyk

Ordinarie trasgressioni di religiose per forza

 

Girato interamente in Italia e prodotto da Giuseppe Vezzani per la Trust International e la Lisa Film, Interno di un convento è forse il caso più rappresentativo del genere sexy-conventuale dell’intera storia del cinema. Nel 1977 Walerian Borowczyk sta lavorando ad un progetto cinematografico da realizzare in Italia con protagonisti Monica Vitti e Michele Placido, ma essendo entrambi gli attori occupati su altri set, il regista polacco decide di realizzare un film completamente diverso. Essendo rimasto attratto dalle poche pagine dedicate agli amori conventuali all’interno de “Promenades dans Rome” (Le passeggiate romane) di Stendhal, Borowczyk chiama sul set Ligia Branice e Marina Pierro e costruisce il film Interno di un convento come una sorta di passaggio di consegna tra le due muse ispiratrici. Considerato osceno e blasfemo, il film viene bocciato in censura e su di esso vengono operati pesanti tagli al momento dell’uscita nelle sale, e viene ritirato per ben tre volte dalla programmazione. Grazie al DVD della tedesca X-Rated, editato con il titolo Unmoralische novizinnen è oggi finalmente possibile vedere il film nella sua forma più integrale e completa, tenendo presente che si tratta dell’opera più controversa del regista polacco. “È stato detto con ironia che, venendo a girare un film in Italia, il regista ci ha dato quello che meritiamo. Una boutade che si può utilizzare, notando che Boro – una vita spesa nel paziente, angelico, travaglio dell’animatore – è assediato dalla produzione che offre mezzi e vuole in cambio film secondo l’immagine “italiana” del “maestro dell’erotismo”. Un meccanismo che non giustifica e che non assolve, specie se si considera Interno di un convento non col metro del moralista ma con quello dello specifico filmico. Grezzo e sbrigativo, pacchiano e immotivato, il film girato nei dintorni di Roma a fine primavera del ’77, si può facilmente liquidare in poche battute”. (Valerio Caprara, Walerian Borowczyk, La Nuova Italia, 1980)

Anno 1829 in un convento marchigiano, malgrado la continua sorveglianza della badessa (Gabriella Giacobbe), le giovani monache si abbandonano ad ogni sorta di piacere erotico: si amano tra di loro, si concedono nottetempo a nobili e contadini, si masturbano. Suor Clara (Ligia Branice) ha un amante (Howard Ross [Renato Rossini]) e quando la badessa la scopre tra le sue braccia e la punisce facendo allontanare il giovanotto dal territorio del convento, la giovane suora si vendica facendo avvelenare la superiora da una conversa. Ucciderà allo stesso modo, temendo di venir scoperta, la sua complice e la nipote della badessa. La verità verrà egualmente fuori, ma per timore di uno scandalo tutto verrà messo a tacere.

TRANS-EUROP-EXPRESS (1966) di Alain Robbe-Grillet

I lunghi binari dell’erotismo, ovvero la follia e il delirio di una società in divenire

 

“La pornografia per me non esiste” (Alain Robbe-Grillet), affermazione che spazza via ogni concessione erotica dal film (come invece, superficialmente, suggerisce il titolo italiano A pelle nuda), per posizionarlo in una dimensione coerente con l’epoca in cui è stato realizzato. Trans-Europ-Express è un film-laboratorio, in cui l’antipsicologismo con cui sono non-delineati i personaggi va di pari passo (parallelamente, come i binari del treno appunto) con elementi sadiani necessari all’autore per incunearsi nell’immaginario di una società che, come il treno del titolo, corre verso una liberazione sessuale (e non), fittizia e utopica. Non è casuale, quindi, che le tre parole componenti il nome del treno, ritornino nel film sulla copertina di un libro raffigurante un treno che sta per investire una donna legata sui binari (Transes), su una rivista di bondage (Europe) e sul settimanale L’Express sulla cui copertina il titolo rimanda a “l’uomo che morì 4 volte” (Express, e il chiaro riferimento al protagonista plurimo della vicenda del film). Quella costruita dall’inventore del Nouveau Roman è un’architettura ludica in cui il cinema è rappresentato come un gioco la cui natura contempla un creazione ed una scrittura fatte di continue ipotesi, cancellazioni e correzioni. La scelta, coerente con questa idea, che Robbe-Grillet persegue nel film attraverso la messa in scena di un erotismo “plastico e statico”, coincide con la necessità di desensualizzare le immagini e di sterilizzare l’eccitazione dello spettatore trasformando le donne (protagoniste del film) in manichini.

Trans-Europe-Express

QUESTO SPORCO MONDO MERAVIGLIOSO (1979) di Luigi Scattini e Mino Loy

In LUIGI SCATTINI INFERNO E PARADISO (a cura di) Fabrizio Fogliato

 

QUESTO SPORCO MONDO MERAVIGLIOSO (1970) di Fabrizio Fogliato

Uscito nelle sale italiane il 21 Aprile 1971 il film – girato a quattro mani con Mino Loy – si rivela subito un clamoroso insuccesso. Neanche il divieto ai minori di 18 anni – all’epoca vero e proprio motivo di attrazione per il pubblico – riesce a convogliare nelle sale un numero di spettatori necessario per coprire le spese.

RIVELAZIONI DI UNO PSICHIATRA SUL MONDO PERVERSO DEL SESSO [1973] di Renato Polselli

Tutti i segreti del cinema “freak” di Renato Polselli. Prossimamente sul secondo volume di ITALIA: ULTIMO ATTO

 

Definire cosa è stato il cinema italiano degli anni’70 è praticamente impossibile e probabilmente non ha neanche senso tentare di farlo. La già avventurosa storia del cinema italiano, in quel doppio lustro diventa “fantasmagorica” attraverso l’accumulo, pressochè infinito, di materiali eterogenei e disfunzionali attraverso i quali si costruiscono migliaia di film di ogni genere (alcuni addirittura inventandoli da zero), magari complessivi di un pugno di pellicole, dalla qualità discutibile, con l’unico fine immaginabile di soddisfare ogni esigenza (dalla più rara alla più turpe) di un pubblico “affamato” ma non stupido, pronto a spendere poche centinaia di lire per evadere, almeno per un paio d’ore, dagli anni di piombo. Inevitabile (come ho appena fatto) chiudersi in stereotipi e luoghi comuni per dare spiegazione plausibile a quel periodo storico-cinematografico, come è altrettanto inevitabile non soffermarsi sull’unico aspetto pervasivo e indistintamente comune a tutti i generi: il sesso.

OSCENITA’ – [aka QUANDO L’AMORE E’ OSCENITA’ – 1973/1980] di Renato Polselli

Tutti i segreti del cinema “freak” di Renato Polselli. Prossimamente sul secondo volume di ITALIA: ULTIMO ATTO

 

In una riunione guidata da un certo Dottor Roberts (Isarco Ravaioli) che dovrebbe essere una specie di terapia di gruppo, alcuni uomini e alcune donne si presentano come persone che hanno “approfittato” della bella Mireille (Mirella Rossi) e spiegano le loro ragioni perverse, mediate dall’aiuto dello psichiatra che li guida all’interno dei comportamenti perversi e delle loro motivazioni, analizzando l’intera storia del genere umano, prima di portarli a scatenarsi in un’orgia furiosa che sa tanto di pena del contrappasso.

1968… MODI PER MORIRE

In Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Quello del 1968 è un paradosso straordinario: l’anno che vuole cambiare il mondo, nel cinema italiano diventa l’anno in cui la rivoluzione è negata. I film del biennio 1968-1969 – finora poco storicizzati e affrontati in ordine sparso – visti nel loro complesso disegnano oscuri presagi sul futuro a medio e lungo termine e sono attraversati da un pessimismo, appiccicoso e intransigente, nei confronti di tutto ciò che è cambiamento. La cifra contenutistica è quella della disillusione, già sublimata prima ancora che l’illusione stessa si compia. E’ come se il cinema, tra i medium, fosse l’unico a fare i conti con l’immaturità endemica e le frustrazioni dell’italiano medio, e a mettere in scena la nemesi stessa del “sogno”, anticipando persino i tempi dell’attesa e sospendendo ogni illusione in uno stato di sospensione come è quello della “permanenza del possibile”.

BLUE NUDE (1977) di Luigi Scattini

Fabrizio Fogliato (a cura di) LUIGI SCATTINI INFERNO E PARADISO – In uscita nelle librerie

 

BLUE NUDE (1977) di Luigi Scattini

Il film, poco amato dalla critica dell’epoca, e subito tolto dalla sale per le vicissitudini finanziarie e legali della Euro International, si presenta a metà strada tra la ballata folk di stampo melodrammatico e il dramma urbano a tinte forti di matrice scorsesiana. A mescolare i due registri contribuisce ampiamente la colonna sonora di Piero Umilani capace di creare una tensione costante (sia emotiva che drammatica) fatta di brani di jazz innovativo e moderno – costruendo una vera e propria scala di suoni e strumenti – ben amalgamato con ballate dall’impronta country e folk che sottolineano il peregrinare per strade oscure e dimenticate di New York da parte del protagonista, o il suo incedere fiero nella zona di Times Square tra luci e cartelloni pubblicitari.