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Giorgio De Chirico

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PROFONDO ROSSO (1975) di Dario Argento

Antropologia di una nazione: un dialogo politico con la società italiana

Perché a distanza di cinquant’anni “Profondo rosso” (1975) di Dario Argento continua a turbare e a suscitare interesse? Perché scrivere ancora su un film su cui è già stato detto tutto e il contrario di tutto? Perché parlare di un film che oggi (ancor più di ieri) è esperienza acusmatica incisa nelle note immortali dei Goblin? Certo per celebrarlo, ma anche perché, in realtà, c’è ancora molto da scoprire e da dire.

TODO MODO (1976) di Elio Petri – Parte seconda

Aldo Moro: “Todo modo è opera ignobile ma inevitabile”. 

In Todo modo il fattore unheimlich non si esaurisce nella temporaneità dell’assunto narrativo, ma si incunea nella familiarità del quotidiano per pervertire tutto ciò che è, apparentemente, innocuo. “Il Presidente” – sintesi del potere democristiano – nevrotizza il desiderio che incarna: le pulsioni, le patologie inespresse e frustrate di un intero corpus dirigente (non solo quello politico).

TODO MODO (1976) di Elio Petri – Parte prima

Il film di Petri prefigura la morte di Aldo Moro, il quale paga di persona – proprio come accadrà nella Storia – per le colpe di un intero sistema politico.

Aldo Moro è – tra le altre cose – un uomo politico la cui vita tra il 1974 e il 1976 è matrice per la sua futura dimensione cinematografica. Le premesse sono: il fallimento dell’esperienza governativa di centro-destra DC-PLI (Partito Liberale Italiano) a guida Giulio Andreotti che riporta sulla scena (per la quinta e ultima volta) il leader democristiano all’alba del 1973; la sconfitta del “sì” nel referendum sul divorzio del 12-13 maggio 1974 e la débâcle del centro-destra alle regionali del 15-16 giugno 1975 (DC: 35%; PCI: 33%; l’intera area di sinistra al 46%), per cui Moro viene richiamato d’urgenza nell’agone politico per affrontare le “temibili” politiche del 1976 (con lo spauracchio del sorpasso a sinistra).