Da Sodoma a… New York

A New York iniziano a essere rinvenute, nelle acque del fiume Hudson, parti del corpo di uomini. La polizia ritiene sia l’opera di un serial killer che abborda omosessuali nei bar cittadini per poi stuprarli e mutilarne i corpi, così l’agente di polizia Steve Burns (Al Pacino) viene mandato come infiltrato nel mondo dei club per omosessuali per rintracciare l’assassino. Burns commette uno sbaglio e porta la polizia ad indagare sul conto del cameriere di un ristorante, Skip Lee, il quale sarà costretto a spogliarsi e masturbarsi dinanzi a quattro detective per fornire loro un campione di sperma. Dopo aver assistito a questo episodio di brutale violenza, Burns capisce che i poliziotti non stanno conducendo le indagini al fine di scovare l’assassino, ma spinti unicamente da una delirante omofobia. Abbandona le indagini, ma viene convinto dal suo capo, il Capitano Edelson (Paul Sorvino) a riprenderle in mano. Steve riesce alla fine a rintracciare il presunto serial killer, uno studente di musica, omosessuale, e lo arresta. Dopo quest’indagine Burns diventa ispettore e gli viene concesso un permesso ma…

Il 1980 è un anno cruciale nella storia del cinema. L’anno in cui un “grande sogno” finisce. L’insuccesso clamoroso di Heaven’s gates (I cancelli del cielo) di Michael Cimino, pone fine alla “New Hollywood”, cioè alla possibilità di coniugare arte e intrattenimento in un unico prodotto. Il tracollo finanziario di due studios cinematografici (la United Artists è costretta a dichiarare fallimento), chiude definitivamente le porte dietro ad un decennio “rivoluzionario” anche dal punto di vista cinematografico. Tre film, di tre autori non allineati, sembrano scrivere la parola fine ad un periodo storico e, contemporaneamente aprire le prospettive ad una nuova visione cinematografica. Nel 1980, Abel Ferrara gira Ms 45 (L’angelo della vendetta), in cui una sartina muta reagisce con l’omicidio seriale ad un doppio stupro, prima di travestirsi da suora pronta a compiere la strage finale; William Lustig (regista che non è autore, ma che non è neanche un semplice artigiano), dirige Maniac, forse il film definitivo sul serial killer e sulla psicosi che lo anima; William Friedkin termina le riprese di Cruising, la sua opera più controversa e indecifrabile, realizzata sottoforma di incubo metropolitano.

Tre film, un’unica città, New York: notturna, inquietante, asfissiante e violenta, teatro, nello stesso anno di The Warriors (I guerrieri della notte) di Walter Hill. Una città-corpo, che in Ms 45, trasuda vendetta, che in Maniac alimenta la furia di Frank Zito e che in Cruising trasforma (letteralmente) la mente di Steve Burns. Nella New York di Ferrara, Thana (che già nel nome porta la morte), agisce e uccide a sangue freddo il genere maschile, mentre parallelamente lei si trasforma prima in vamp, e poi in suora, assumendo su di sé i caratteri accesi e violenti (il rosso carminio delle labbra, le calze nere e il bacio alla pallottola) di una sessualità perversa. La stessa città, nel film di Lustig, diventa organo partoriente: Frank Zito è la città. Lo vediamo sbucare dagli interni oscuri dei palazzi e materializzarsi nella nebbia sotto il ponte di Brooklyn; l’uomo si muove in una metropoli senza sole, livida e fredda, e dopo aver ucciso, ritorna nella sua casa-prigione. Nel film di Friedkin Steve Burns con l’identità di John Forbes, pattuglia (come nel titolo) i marciapiedi del Greenwich Village alla ricerca dell’assassino dei gay che si nasconde all’interno dei leather bar. Nei carrelli usati per descrivere la città omosessuale, sia ne locali S&M, sia lungo le strade notturne, dove gli uomini si seguono e si annusano come animali, si avverte un senso di disagio e di minaccia costante. Da Ferrara a Friedkin, quindi, la città (New York), diventa la placenta in cui si forma il corpo di un essere umano transgender, attore di una sessualità non conforme e (apparentemente) antisociale. Man mano che l’individuo (uomo o donna non ha importanza) cresce, lo spazio attorno si restringe diventando sempre più claustrofobico. La dimensione sessuale isolazionista (dei tre film) corre parallelamente all’azzeramento dello spazio, perchè solo in questo modo, New York diventa reale (“un giorno questa città esploderà”, commenta il poliziotto Di Simone con il suo collega, in Cruising) e al contempo può avere la densità di una proiezione partorita dalla mente dei protagonisti.

New York è dunque una città espressionista, notturna e minacciosa, illuminata e frammentata dai flussi dei neon e dai fari delle auto, in cui l’individuo è separato dai suoi simili e disperatamente scisso nei confronti di se stesso. È lo stesso William Friedkin, in due dichiarazioni inedite (contenute negli extra del DVD americano) a raccontare questa dimensione metropolitana, di cui da un lato il travestimento ne è parte integrante allo steso modo del cambio di identità: “La cosa interessante è nel travestimento, perchè la maggior parte dei ragazzi che frequentava quel mondo indossava costumi sadomaso alquanto bizzarri, mentre di giorno lavorava nei negozi di Madison Avenue o come agente di borsa e avvocati. Vivevano una vita reale e un’altra vita nei locali gay”. Il filo conduttore di Cruising, cioè quello del poliziotto infiltrato, si rifà, anche questo a un episodio reale, come racconta ancora lo stesso regista: “A quell’epoca un mio amico poliziotto, Randy Jurgensen, dopo quasi vent’anni di onorata carriera nella polizia, fu mandato in missione nei locali gay, facendosi passare per omosessuale. Mentre era sulle tracce di tentativi di estorsione e ricatto e di violenze perpetrate nel sottobosco sadomaso, mi raccontò parecchi episodi, alcuni dei quali riportati nei film, e quanto ne fosse rimasto turbato”. In Cruising, Randy Jurgensen ha una piccola parte, quella del detecive Lefransky. Cruising è un film in cui gli elementi reali interagiscono direttamente con le ricostruzioni dei set, in cui l’aspetto documentaristico è presente in forma sotterranea, in cui la metafora non è mai dichiarata e in cui l’orrore è umano e tangibile. La storia stessa della produzione del film è testimonianza di uno stato d’animo tormentato, di una realtà sociale in ebollizione e di un’isteria paranoide come mai si era avvertita durante la lavorazione di un film.

Attraverso la ricostruzione di alcune dichiarazioni di William Friedkin, rilasciate all’epoca al New York Daily News, è possibile costruire il quadro di una produzione tormentata e le difficoltà e i pericoli di una lavorazione osteggiata da una larga parte della comunità gay e attraversata da mille ostacoli: “Spesso gli attori sono stati scortati sul set e Al Pacino al termine delle riprese in un bar è stato costretto a fuggire per non incorrere nella rabbia di un centinaio di gay che assediavano il locale. Più volte le riprese sono state disturbate dalle luci provenienti da potenti riflettori portati sui tetti vicino al luogo delle riprese. Altre volte abbiamo dovuto interrompere le scene in interni a causa di intrusioni da parte di alcuni membri della comunità “armati” di stereo a tutto volume. (…) In fase di post-produzione, gran parte delle scene sono state ridoppiate, perchè il sonoro era stato danneggiato (…). Il set è stato circondato da trecento poliziotti per garantire la sicurezza, e sventare i tentativi di lanci di pietre e di bottiglie durate le riprese in esterni”. Ma prima ancora che si inizi a girare il film, il Village Voice, organo di riferimento della stampa omosessuale, saputo della messa in cantiere di una pellicola tratta dal libro “Cruising”, pubblica un appello affinchè si impediscano fisicamente le riprese del film e si osteggi, in ogni modo la partecipazione di apparentenenti alla comunità, nelle scene ambientate nei leather bar. L’accusa, sollevata dalla comunità gay è quella di voler trattare un argomento troppo delicato e di volerlo spettacolarizzare ai fini mercantili di Hollywood, oltre alla paura di una rappresentazione omofoba e violenta del Greenwich Village.

Il film di William Friedkin è basato su un romanzo scritto nel 1970 da Gerard Walker un redattore del New York Times. Al centro del libro, le gesta del serial killer dei gay, che tra il 1962 e il 1969 ha sconvolto la tranquillità della comunità omosessuale di New York. Il romanzo, poco più di un resoconto giornalistico, da un lato racconta il personaggio instabile del poliziotto a cui viene dato il compito di infiltrarsi negli ambienti omosessuali, ma dall’altro appare omofobico nella trattazione dei fatti e nell’atmosfera minacciosa che cosrtuisce attorno agli eventi. Gli omosessuali, sono descritti, in maniera pregiudiziale, come dei “vampiri”, che vivono (e uccidono) di notte e si nascondono di giorno. La tesi di fondo del romanzo di Walker (ripresa in parte anche da Friedkin) sembra essere quella che “la vita omosessuale è di per sé violenta: non è violento l’ambiente dell’abbordaggio ma il fatto stesso di essere omosessuali”(Vito Russo, Lo schermo velato, Baldini & Castoldi, 1999). La sceneggiatura di William Friedkin, in realtà, “tradisce” la struttura narrativa del romanzo di Walker, che il regista stesso giudica datato e superato, e costruisce gli omicidi ispirandosi a fatti di violenza realmente accaduti nel Greenwich Village durante gli anni ’70. Inoltre integra l’aspetto psicologico dei personaggi attraverso le consulenze di Paul Bateson, recluso in carcere a causa dell’assassinio di Addison Verril, un critico cinematografico di Variety. Bateson, tra l’altro, è stato attore, nella parte di se stesso, quella di un medico, in The Exorcist (L’Esorcista), diretto da Friedkin nel 1973.

Le cronache dell’epoca, raccontano, che alla versione di Cruising approntata per le sale, viene aggiunta questa dichiarazione del regista: “Questo film non va inteso come condanna del mondo omosessuale. È ambientato in una piccola parte di quel mondo, che non deve essere interpretata come uno specchio della totalità”. Come (ampiamente) previsto, la dichiarazione non placa le polemiche e le proteste che si levano sempre più forti attorno alla distribuzione del film, al punto che la comunità gay appronta una serie di contro-manifesti, con la stessa immagine dell’originale (il volto in primo piano di Al Pacino), e vi sovrappone la scritta: “Ci sarà gente che morirà a causa di questo film”. La storia conferma questa triste previsione (nonostante l’evento non abbia alcuna attinenza con la realizzazione del film) quando, nel novembre 1980, sul marciapiede del Rambrod Bar (uno dei locali utilizzati per le riprese di Cruising), il figlio di un ministro uccide due gay a colpi di mitragliatrice.

La storia di Steve Burns (che già nel cognome ha le fiamme dell’inferno), è la storia di un uomo che rinuncia alla sua identità per svolgere al meglio la sua professione, un uomo che mantiene tutta la sua ingenuità (la stessa presentata all’interno dell’ufficio del capitano Edelson all’inizio del film), ed è impreparato a confrontarsi con l’universo orgiastico e ancestrale in cui sta per entrare, inconsapevole (o forse no?) di dover (ri)mettere in discussione tutto se stesso. Lentamente Steve Burns viene “infettato” da un male che non conosce e che non riesce a decifrare: la sua è una discesa in un girone infernale in cui scompare ogni certezza e in cui l’ambiguità diventa la chiave di lettura di ogni situazione. William Friedkin, mantiene ed estremizza questa ambiguità e costruisce una pellicola complessa e stratificata, affascinante e oltraggiosa, in cui tutto è filtrato da una lente opaca che modifica la percezione degli eventi e in cui non c’è distinzione tra attività sessuale e violenza, al punto che il regista non esita ad introdurre immagini hard subliminali che mostrano la penetrazione anale in parallelo alla “penetrazione” del coltello dell’assassino nella carne della vittima.

William Friedkin è agnostico, pertanto, il suo film non è intriso di quella componente biblica cara a registi come Martin Scorsese e Paul Schrader, che con i loro Taxi Driver (1976) e Hardcore (1979), hanno descritto parabole similari a quella di Cruising (come, dodici anni, dopo lo sarà il Bad Lieutenant di Abel Ferrara). Il film di Friedkin, può essere inteso come un “viaggio fantastico” da Sodoma a New York, in cui non è eludibile la possibilità che gli omicidi non siano reali, ma siano il frutto di proiezioni psicotiche del protagonista. A confermare quest’aspetto è la sequenzialità “impossibile” degli omicidi, in cui i ruoli di vittima e carnefice sono spesso interscambiabili oltre ad essere interpretati dagli stessi attori. Nel primo omicidio al St. James Hotel, Larry Atlas è l’assassino, e Arnaldo Santana la vittima; nell’omicidio di Central Park, Larry Atlas è la vittima, mentre Richard Cox (cioè Stuart) è l’assassino; infine, nel peep-show, la vittima del primo omicidio (Arnaldo Santana), è l’uomo che entra nel locale nascosto dietro al fumo della sigaretta, mentre Richard Cox (Stuart) è l’omicida che entra nella cabina a gettone. Il viaggio di Friedkin, da Sodoma a New York, segue dunque un percorso non lineare, attraverso una messa in scena soffocante che amplifica l’oscurità di Central Park e decolorizza l’orgia di corpi avvinghiati e ansimanti che si muove nei locali “infernali” (non a caso l’ingresso di ogni club presenta una scalinata che porta direttamente nel sottoterra). L’ambiguità, di questo viaggio, è chiusa tra due parentesi criptiche: il film si apre e si chiude, con due immagini, due campi medi che mostrano un uomo di spalle vestito di pelle e cuoio, dirigersi verso il Private Club 837…Chi è?

di Fabrizio Fogliato

[continua]

La seconda parte la troverete, tra qualche giorno, su questo blog.

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  1. Pingback: WILLIAM FRIEDKIN’S SORCERER (IL SALARIO DELLA PAURA, 1977) | Fabrizio Fogliato | Critico cinematografico, saggista

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